Serendipity, “Hermione, tu hai colto l’attimo?”

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Selene_Black
view post Posted on 23/1/2008, 18:03




Rating: Verde
Genere: Romantico, Triste, Introspettivo
Personaggi: Altro personaggio, Draco Malfoy, Draco/Hermione, Hermione Granger



Serendipity



Questa è una storia che parla del Destino.
Del Caso.
Ma da soli non basterebbero.
Questa è una vicenda che narra di un attimo.
Un baleno che per magia compare, sorprendendoci, e che bisogna afferrare prima che svanisca per sempre.
Basta quel battito di ciglia per cambiare la nostra vita.
Cercare una cosa, per trovarne un’altra.
Avere il coraggio di seguire una sensazione.

“Hermione, tu hai colto l’attimo?”

***



Il sibilo che da giorni la tormentava era diventato estremamente fastidioso.
Avvertiva il calore del sole mattutino infrangersi prepotentemente contro le palpebre ancora chiuse. L’impalpabile tocco dei suoi raggi le solleticava le gote.

Era giunto il giorno e con esso il momento di svegliarsi.

***



Aprire gli occhi non le era mai sembra più difficile.

Nuovo.

La luce filtrava attraverso le tende bianche poste a quell’’unica finestra presente nella stanza.
Nonostante fosse tenue e fioca, la costrinse a serrare gli occhi, abbagliandola.

Sbattè più volte le palpebre per ambientarsi a quel nuovo chiarore.
Un tedioso ticchettio proveniva da quei macchinari posti ai lati del letto in cui giaceva.

Fece scorrere attentamente lo sguardo su ciò che la circondava.

Le pareti della stanza erano di un grigio chiarissimo.

Bianco.

Un chiaro telo faceva da sipario tra le due estremità della camera.

Tutto era di un opprimente bianco.

Come bianca era la cortina di nebbia che le offuscava la mente, confondendola.

L‘usuale torpore del risveglio avvolgeva ogni singola parte del suo corpo.

Aveva difficoltà a muovere le gambe.
Come se fossero state immobili per troppo tempo.

Con eccessivo sforzo, riuscì a mettersi seduta nel mezzo del letto, cercando di stringere i pugni.
Ma si sentiva troppo debole per farlo.

La sua mente era troppo intorpidita per ricordare il perché fosse lì.
Come se fosse oltremodo stanca.

Eppure, quel senso di spossatezza la tormentava.

Si poneva domande.

Dov’era?
Perché era lì?


Cercava le risposte nella sua mente.
Erano lì - dovevano essere lì - ma, appena vi si avvicinava, tutto spariva.

Quel senso di confusione l’angosciava.

Più si sforzava, più la testa le cominciava a farle male insistentemente, inducendola a socchiudere gli occhi.
Portò una mano alle tempie e solo allora si accorse di portare delle bende.

Spalancò gli occhi repentinamente.

Era stata la sorpresa.
Il dolore.
O forse il senso di allerta che aveva provato nel sentire il rumore di una porta che veniva gentilmente richiusa.

Un colpo impercettibile, ma lo aveva avvertito.
Come se tanta accortezza fosse abitudinaria.
Metodica.


In quello stesso istante una donna varcava la soglia della camera lasciando cadere la biancheria che portava.
Nel vederla sveglia, un piccolo grido di sconcerto le sfuggì dalle lebbra.
Continuava a fissarla a metà tra lo stupito e lo spaventato, prima di voltarsi e sparire al di là della porta.

Perché?
La sentiva pronunciare parole allarmate, chiamare qualcuno.

“Presto! Qualcuno alla 121” - schiamazzava senza sosta.

Perché?

“Aiuto” - in quel momento avrebbe voluto urlare.
Se solo non sentisse la su voce provenire da troppo lontano.

Avrebbe voluto gridare, qualsiasi cosa.
Perché non ricordava.

Avrebbe voluto sentire qualcuno pronunciare il suo nome.
Perché non lo conosceva.


Chi era?
Non lo sapeva.


Alla luce di questa assurda consapevolezza, sentì qualcosa dentro di sé spezzarsi.
Fu questione di pochi attimi e la nube bianca che le ottenebrava la mente riuscì a varcare quel labile confine infranto, avvolgendo la realtà.

Gli occhi le si chiusero contro la sua volontà, improvvisamente stremata.
Intorno a lei solo il Nulla.

Il Nulla dilaga irrefrenabile.
Confonde.
Annienta ammaliandoci.
E noi restiamo immobili, cessando di Credere.



***



Dei passi continuavano a susseguirsi pesantemente, accavallandosi l’un l’altro nervosamente.
Qualcuno camminava su e giù per la stanza.

“Dovremmo dirle tutto.” - sbottò improvvisamente una voce maschile.

Un vociare confuso - ansioso e preoccupato - le giunse alle orecchie.

“Ma sei impazzito? Ne soffrirebbe troppo” - qualcuno si avvicinò al letto, carezzandole la guancia.

Il suo tocco era gentile.
Il suo profumo fresco.
La sua voce un dolce sussurro.

Ma per la sua mente - i suoi ricordi - risultava una perfetta sconosciuta.

Le palpebre erano ancora troppo pesanti per riuscire a sollevarle.

Forse non voleva svegliarsi.
L’incubo, però, era già iniziato.


L’eco dei passi irrequieti cessò, cedendo il posto ad amare parole.
“Soffrirà ancora di più se non le diciamo la verità”

Silenzio, acuto e lancinante come il dolore che provava.
Ma aveva avvertito un simile strazio, ma non poteva esserne sicura.


Non sapeva.

Un insopportabile peso all’altezza del petto la costrinse ad aprire lentamente gli occhi.
Era già sera inoltrata, quando si accorse di essere ancora stesa nello stesso letto in cui si era risvegliata quella stessa mattina.

Un uomo ed una donna si fronteggiavano poco distanti dal letto.
Si lanciavano sguardi torvi, non curandosi della sua presenza, fin quando non si accorsero del suo risveglio.

“Hermione.” - l’uomo accorse al suo giaciglio, gettandole le braccia al collo.
Dovette trattenersi per non farle male, ma la gioia di vederla finalmente sveglia era immensa.

Era troppo tempo che attendevano notizie.

Quella mattina, però, finalmente era giunta la chiamata dall’ospedale.

“Sua figlia si è risvegliata.”
Aveva fatto fatica a credere a quelle parole.

Il Nulla ci consuma e la disperazione ci circonda.



Eppure la sua adorata figlia era lì, tra le sue braccia.

La ragazza, intanto, lo osservava smarrita.
Con aria circospetta.

Hermione - ripetè tra sé e sé.

Quindi era quello il suo nome?

Così armonioso nel pronunciarlo.
Così caldo nell’ascoltarlo.


Era così felice di aver conosciuto il suo nome, che avrebbe voluto rispondere all’abbraccio di quell’uomo con altrettanto ardore, ma non ci riusciva.

Non ne aveva ancora la forza.
Per rispondere.
Per reagire.


Si limitò a circondare le sue spalle con le esili braccia, mentre la donna era rimasta sulla soglia della porta, ad osservare la scena in silenzio, con una mano poggiata contro le labbra e gli occhi colmi di lacrime.

Aveva degli occhi di un ammaliante color ambra.
I capelli erano acconciati in modo tale da metter in evidenza i dolci lineamenti del viso.
Era d’avvero bellissima.

Con passi titubanti, appena i loro sguardi si incontrarono, la donna si avvicinò al letto.

“Come ti senti cara?”

Hermione la fissava intimidita, soppesando la risposta.

Disorientata.
Perché non sapeva chi loro fossero.
Confusa.
Perché ancora non capiva perché tanta apprensione.
Sconvolta.
Perché non sapeva dove si trovasse.
Smarrita.
Perché aveva perso sé stessa.


Eppure, come poteva deludere quelle iridi così calde e piene d’amore - per lei che non li riconosceva.

“Sto bene.” - rispose sorridendo.

Mentì, forse, però, quella menzogna bianca si sarebbe tramutata in una pura realtà.

“Mamma? P-papà? - domandò.

Esitante?
No, speranzosa.

Perché aveva bisogno di loro.
Del loro affetto.
O semplicemente aveva bisogno di qualcuno.


“Sì tesoro, siamo noi” - rispose, sorridendo, l’uomo seduto al suo fianco, sul bordo del letto.
No lo aveva notato prima, ma il suo sorriso era in grado di illuminare quella triste stanza grigia.

“Jane” - si rivolse alla moglie inginocchiata al letto -“vai a chiamare un medico, sbrigati.”

Ritornò ad osservare la giovane nel letto -“Andrà tutto bene ora.”

Hermione sorrise fiduciosa.
Forse, le cose sarebbero andate bene. Anche se non ricordava.
In fondo cos’è un ricordo?

Il ricordo è una pietra che ostacola il cammino della speranza. (Kahlil Gibran)



***



18 gennaio.
Era passato molto tempo, ormai, da quando si era risvegliata in quella stanza di ospedale ed ora aveva ripreso la sua vita.
La vita di Hermione Jane Granger.

I medici le avevano diagnosticato un’Amnesia retrograda dovuta ad un trauma cranico severo.
I suoi genitori le avevano raccontato di un brutto incidente,avvenuto poco dopo l’estate.
Le capitava spesso di perdere coscienza o di cadere in confusione.
Spesso, addirittura, le riusciva impossibile svegliarsi.
Proprio come era accaduto il giorno in cui l’anno portata d’urgenza in ospedale.
L’incidente aveva creato dei danni al sistema nervoso centrale ed era rimasta in coma per oltre un mese. Orami tutti avevano perso le speranze.

Poi si era svegliata.
Improvvisamente.
In compenso, aveva perso tutti i suoi ricordi precedenti al trauma.

La ragazza, però, aveva fatto le sue ricerche - leggendo tutto sull’argomento - non perché non si fidasse dei medici o dei suoi genitori, ma perché non le erano piaciuti gli sguardi complici che si erano scambiati durante la visita.

Tutto quadrava, eppure sapeva che qualcosa non andava.

La discussione tra i suoi nella camera d’ospedale le riecheggiava ancora in mente.
Uno dei suoi primi ricordi.
Avrebbe fatto fatica a dimenticarlo,anche se avesse voluto. Quelle parole, però, non facevano altro che insinuarla nelle ombre del dubbio.
Indossare i panni di Hermione non le era costato molto, in fin dei conti.

Sembrava che la giovane non avesse un passato.

Uscita dall’ospedale aveva trascorso qualche settimana a casa dei suoi.
Le avevano mostrato vecchie photo, raccontato di viaggi e buffi aneddoti, cercando di farle rivivere quel frammento di passato che le mancava.

Tutto, però, terminava con suoi 11 anni.

Le photo erano andate smarrite durante il trasloco.
Gli aneddoti erano diventati meno piacevoli da raccontare perché lei era cresciuta.
Aveva provato a chiedere di amici e conoscenti, ma nessuno sembrava conoscerla perché aveva frequentato fin da piccola un’esclusiva scuola all’estero.

Scuse.
Pretesti inventati per nascondere qualcosa.
Ma cosa?


Anche quello che era il suo appartamento, dove vi era ritornata dopo numerose pressioni e discussioni, sembrava vuoto.

Non dava l’impressione di una casa vissuta, ma abbandonata a sé stessa.

Era situata nel centro di Londra.
Era abbastanza grande, ma priva di vita.
L’unica cosa che non mancava erano i libri.
Numerosi ed interessatissimi libri.

I giorni passavano lenti.
Le domande si accavallavano l’una sull’altra, pretendendo risposte.

Quesiti che sarebbero rimasti sempre irrisolti.

La lettura l’aiutava a distrarsi.

Proprio come quella domenica di gennaio.
Era fredda.
La neve scendeva in candidi fiocchi ricoprendo tutto con il suo manto bianco ed Hermione osservava quello spettacolo seduta sul divano posto davanti all’enorme vetrata.
Era il suo angolino prediletto.

La sua piccola finestra su quel mondo che le era estraneo.

Era totalmente immersa nella letture di romanzo noir, quando un soffio di aria fredda la colpì alla sprovvista.

Solo uno spiffero d’aria.

Forse c’era sempre stato ed aveva intenzione di rimediare.
Probabilmente non se ne era mia accorta.

Ma aveva importanza?
Quello spiffero d’aria la costrinse ad alzarsi dal divano e a dirigersi nella camera da letto, alla ricerca di una calda coperta.
Aprì l’armadio.
Non ne prese una a caso, ma prese quella verde.
Forse era il suo colore preferito.
Forse le sembrava più calda.
O forse le ricordava qualcosa, inconsciamente.

Quando l’aprì, però, qualcosa cadde dal suo interno.

La ragazza si chinò per raccogliere l’oggetto caduto.

Una busta.
Una di quelle vecchie, di pergamena, sigillate con la cera lacca.

Cosa ci faceva quella lettera nascosta in una coperta?

Basta un attimo per cambiare la nostra vita.
Per trovare un appiglio per andare avanti.



La rigirò tra le mani.
Non c’era il nome del mittente, ma quello del destinatario.

Hermione Jane Granger.



La lettera era per lei.

Afferralo e non te ne pentirai.







Spazio Autrice:
Visto che oramai la fic è, finalmente, agli sgoccioli, la postoa nche qui :D
Anche se il titolo richiama il famoso film, la trama è totalmente diversa.
Diciamo che fa riferimento al significato di Serendipità.
Si tratta di soli 5 capitoli.
Un bacio a tutte,
Ilaria.
 
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Selene_Black
view post Posted on 28/1/2008, 19:50




“A Letter From The Past...”



Il rosso del tramonto era lentamente sfumato nel freddo della notte.
La neve continuava a fioccare lenta e leggera, ovattando le intense luci della città.
Un soffice manto bianco ricopriva la realtà, mentre Hermione se ne stava sdraiata sul comodo divano di casa sua.

A farle compagnia solo la fioca luce del camino ed il fitto manto del dubbio.

La testa era poggiata sul comodo bracciolo della poltrona e il soffice tessuto di panno le solleticava la pelle sensibile dietro l’orecchio.

Per quanto potesse essere piacevole quella sensazione, non era in grado di distoglierla dai suoi pensieri.
Osservava intensamente i bagliori dorati del fuoco.
Li scrutava con sguardo avido, come se da quelle forme indefinite, che si accavallavano l’una sull’altra, potessero provenire le risposte ai mille quesiti che la turbavano.

Cercava una soluzione, una chiave d’accesso per tutte quelle porte chiuse rivelate da quella dannata lettera.

Fiumi di parole sconnesse le affollavano la mente.
Luoghi sconosciuti le intrigavano i sensi.


I sentimenti - acuti e lancinanti - che emanava quella semplice vecchia pagina, avevano avuto il potere di abbattere quel muro di rassegnazione che, con fatica e menzogne, stava cercando di costruire, per fuggire da quell’insopportabile verità.

La pergamena giaceva lì, al suo fianco.
Piegata e ripiegata su sé stessa.

Troppe volte l’aveva riletta.
Troppo tempo passato a sperare per trovare qualcosa.
Qualunque cosa.


Perché non l’aveva strappata in mille pezzi?
Cosa le aveva impedito di accartocciare quel pezzo di carta ammuffito e gettarlo tra le fiamme?

Due parole.


Basta un segno per cambiare una vita.

Un nome, che brillava a chiare lettere smeraldine nel buio dell’incertezza.

Così melodioso da pronunciare.
Così caldo nell’ascoltarlo.
Così straziante nel vederlo scritto lì, su quel pezzo di carta ingiallito dal tempo.


Una firma.

Troppo familiare.

Quella del mittente.

La sua.

Hermione J. Granger.

La stessa firma che aveva lasciato sui documenti per la dimissione dall’ospedale.

Le parole le scorrevano ancora davanti agli occhi.

Fluide.

Naturali.
Come se i suoi occhi riconoscessero quello che la sua mente non era in grado di concepire.

Vere.
Perché avvertiva quei sentimenti.
Percepiva quelle emozioni.
Sentiva che le appartenevano.


Un tripudio di Ansia, Angoscia e Paura.
Uno straziante ed un soffocante senso di vuoto trapelava da ogni singola parola.


“Cara Hermione,
o forse dovrei dire cara me stessa.
Ho già strappato due pergamene e ancora no riesco a capacitarmi di questo mio gesto tanto stupido.
Ho sempre ritenuto insensato possedere un diario segreto e scrivere a sé stessi non è da meno.
Mi sono sempre chiesta che tipo di conforto si potesse ottenere raccontando la propria vita ad un inutile foglio di carta bianco. Si tratta di qualcosa di estremamente irrazionale, eppure, sedermi a questa scrivania e scrivere queste parole, mi è sembrata la cosa più irrazionalmente logica da fare.

Sono fuggita da Grimmauld Place!

Per l’ennesima volta.

Avevo bisogno di ritornare qui dove tutto è iniziato.
Avevo bisogno di sentire il suo profumo tra i cuscini del nostro divano, tra le lenzuola color ardesia del letto.
Quel aroma così suo, ma che col tempo era diventato anche mio.
Quell’effluvio che ha il potere di inebriarmi con il senso di pace e sicurezza che emana, che mi rasserena quando sento la fine che incombe.
Quella fragranza che mi ha tenuto compagnia intere notti, prima di addormentarmi da sola in quel letto così freddo e lontano.

Senza di lui al mio fianco, ma con il suo volto in ogni mio pensiero.

Tante volte sono tornata qui senza trovarlo, ma sapevo che si trattava solo di una questione di tempo.
Dovevo aspettare.
Sapevo che sarebbe tornato.

Perché aveva bisogno di me.
Perché io ho bisogno di lui.


Sono fuggita da Grimmauld Place!

Per l’ultima volta.

Avevo bisogno di ritornare qui dove tutto è terminato.

Quando sono arrivata, lui non c’era.
Era andato via.
Era scappato da me, che un tempo ero stata la sua salvezza.

Era fuggito, portando con sé anche il suo ricordo.
I nostri ricordi.

Improvvisamente questa casa mi è sembrata così spenta senza di lui.

Mi sono sforzata con tutta me stessa, ma non sono più in grado di sentire l’eco cristallino della sua risata.
Chiudendo gli occhi non vedo l’argento brillante dei suoi.
Desidero ancora sentire il suo tocco gentile sul mio corpo.
Le rudi carezze delle sue labbra.
Il calore dei suoi abbracci.

Ho ancora bisogno delle sue menzogne.
Dei suoi inganni.


Di quei letali “Ti Amo” sussurrati tra ansimi e sospiri.

Voglio ancora sentire la sua voce pronunciare il mio nome. Con quel tono così dolce come il più fatale dei veleni.

Ho sempre pensato che la gente potesse cambiare, ma tempo hai il potere di cancellare incomprensioni e dissapori?

I sentimenti di una notte e la passione di una settimana possono cancellare le differenze che uniscono due persone?

Quante domande avrei voluto fargli, ma, oramai, mi ero abituata ai suoi silenzi.

Non volevo sapere.

Forse gliele avrei poste un giorno.
Forse lo avrei fatto oggi.
Forse non lo farò mai.


La serpe ha giocato bene le sue carte.

Mi ha usata.
Mi ha ammaliata con la sua vicinanza.

Ha ottenuto le informazioni che voleva.
Ha approfittato del mio totale abbandono, delle crepe della mia anima dalle quali stillavano sentimenti veri. Per lui.

E’ sparito.
Abbandonandomi. Sola. Ingannata. Innamorata.

La sua risata sadica e di scherno risuona nelle mie orecchie.
La odio.
Come odiavo lui.
Come lui odiava il mio sangue.


Hermione, ho paura.

Ho paura per me.
Per lui.
Nonostante tutto, ho paura per quel noi che non sarebbe mai dovuto nascere.
Ho paura di quello che potrà accadere ora che lui sa.
Loro sanno.
E la colpa è mia.

Hermione, ho sbagliato.

E’ passato troppo tempo da quando ho abbandonato la sede dell’Ordine.
Harry e Ron mi staranno cercando disperatamente.
Non andranno mai a pensare che io possa essere fuggita da loro.

Mi è concesso sbagliare?

E’ iniziata la guerra Hermione.
Da che parte stai?

I sentimenti di una notte e la passione di una settimana possono cancellare ciò in cui credo.
Combatterò per me.

Ora ti lascio Hermione.
Solo Merlino a quando leggerai questa lettera.
Perché tu dovrai vivere per farlo.

Gettala via.

Bruciala.
Non mi interessa.
Ma vivi.
Vivi per te.
Sopravvivi, perché un giorno andrai a prendere ciò che ti appartiene.

Lui.
Trovalo Hermione.

Addio
Hermione J. Granger.“



Rileggendo quelle parole, la ragazza si era addormentata.
Penava a sé stessa.
A quella lettera e al quel senso di smarrimento troppo familiare.

Si era addormentata sul divano, avvolta dal calore di una morbida coperta verde.

Un dolce e spensierato sorriso le increspava le labbra rosee.

Sorrideva probabilmente ripensava alla ragazzina raffigurata nella photo che stringeva al petto.
Era lei e poteva avere al massimo 16 anni.
Non poteva averne una conferma, ma inconsciamente ne era certa.
I capelli ricadevano crespi e ribelli sulle spalle.
Indossava una strana divisa.

Probabilmente si trattava dell’uniforme di quella scuola di cui le avevano parlato i genitori.

Eppure c’era qualcosa di strano.

Stringeva al petto dei voluminosi tomi e lo sguardo dorato era indirizzato verso un punto indefinito e lontano.
Verso qualcosa.
Verso qualcuno.


Non poteva dirlo con certezza, perché la photo era stata strappata nel mezzo.
I lineamenti del viso erano leggermente contratti in una smorfia di sufficienza, in completo contrasto con la radiosità dei suoi occhi.
Risplendevano di una luce sconosciuta alla sua memoria.
Nuova per la sua emotività smarrita.



***



Il sole era alto e i suoi raggi si riflettevano contro il bianco della neve, illuminando la città di una nuova luce.

Hermione Granger camminava tranquillamente per strada, avvolta in un caldo cappotto color panna.
L’aria fredda le colpiva piacevolmente il viso, mentre i capelli sferzavano dolcemente contro il collo.
I rumori mattutini della strada le giungevano fievoli all’orecchio.
Un piacevole odore di caffè, proveniente dalla caffetteria vicino casa, le solleticava gradevolmente il naso.

Tutto era così piacevolmente nuovo.

Nulla la opprimeva quella mattina.
Tutto era nuovo.
Tutto era da scoprire.

Quel giorno Hermione voleva reagire.
Sarebbe andata alla ricerca del suo passato.

Continuava a passeggiare sorridendo.

Forse sorrideva perché cercava di ritrovare quelle sensazioni perdute e che avevano avuto il potere di riaccendere in lei la Speranza.

Destinazione: Grimmauld Place.

Voleva dimenticare la sofferenza di quei giorni.
Il tempo passato a rimuginare sui perché.

C'è solo un modo di dimenticare il tempo: impiegarlo.
(C. Baudelaire).<i>

***


<i>Sembra come un attimo
[...]
Torna quella melodia ,
che il tempo porta via.
Forse un giorno tornerò, il mio cuore lo sente.
Ed allora capirò il ricordo di sempre.
(Tosca, Anastasia)

 
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Selene_Black
view post Posted on 30/1/2008, 15:55




A Date With Destiny



Le strade assolate di Grimmauld Place erano gremite di gente.
Uomini e donne, semplici e comuni passanti immersi nei loro fitti pensieri e, tra essi, Hermione combatteva contro il deserto della propria mente.

Ferma nel mezzo della piazza, la giovane aveva girato più volte su sé stessa, guardandosi attentamente intorno.
Osservava ogni minimo dettaglio con scrupolosa minuzia.

Si sentiva smarrita, non sapendo dove andare.

Quella strada avrebbe dovuto rappresentare qualcosa per lei.
Ricordarle qualcosa.
Una qualunque.

Ma, per quanto si sforzasse, nulla le tornava alla mente.
Né l’accenno sbiadito di un ricordo, né tanto meno l’ombra lontana di un passato.
Aveva guadagnato solo un asfissiante mal di testa, al quale contribuiva anche la risata - spensierata e sbarazzina - del bambino che giocava tra le braccia della madre, proveniente dal capo opposto della strada.
Forse in circostanze diverse avrebbe considerato quello sprazzo d ilarità piacevole e ne sarebbe stata inevitabilmente contagiata, ma in quel momento le giungeva all’orecchio come un rumore stridulo e monotono.

Fastidioso.
Insopportabile
, come il senso di vuoto che a poco a poco iniziava a farsi strada in lei.

Con molta probabilità, qualcuno tra quei passanti la conosceva. Eppure la riccia non riconosceva nessuno.

Tutti sconosciuti.
Estranei.


Troppi estranei.

Improvvisamente la strada le apparve eccessivamente affollata.
Persone che sembravano circondarla.
Accerchiarla con i loro sguardi.

La confondevano ulteriormente.

Tra tutti loro, Hermione doveva cercare qualcuno.

Chi?
Verso chi indirizzare il proprio sguardo mielato?

Per quel che ne sapeva poteva trattarsi di chiunque...

Come quel ragazzo che continuava a sorridere sornione verso la sua direzione.
...o forse nessuno.

Il sole splendeva dall’alto del cielo limpido e terso.
I suoi tiepidi raggi filtravano attraverso i rami degli alberi che costeggiavano le strade, rifrangendosi contro le gocce di neve sciolta, annidate tra le sottili fronde, creando, così, sublimi spettacoli di luci e colori.

Il vento soffiava placido e leggero, solleticandole la folta chioma.
L’aria profumava di neve e le pizzicava piacevolmente le pallide guance.

Forse ciò che stava cercando non esisteva.

In fondo, quella lettera non provava assolutamente nulla.
L’aveva solo aiutata a costruire quella labile illusione, alla qual si era aggrappata con tutte le sue forze.
Si trattava di un castello di carta, troppo fragile per reggere alle frustate del vento della delusione.

Rassegnata.
Avvilita.

La ragazza calò il capo. Vinta.

Gli occhi le si inumidirono all’istante.
Le lacrime chiedevano di scorrere prepotentemente, appannando quella nuova luce di cui le iridi bronzee le si erano illuminate solo la sera precedente.

Quando si era sentita sicura.
La stessa fiducia che vedeva riflessa nello sguardo di quella ragazzina immortalata nella photo che accompagnava la lettera.

Presa dallo sconforto, la ragazza aveva completamente perso il senso della realtà che la circondava.
Non aveva notato come la piazza si fosse improvvisamente sfollata.
Che nessuno la fissava con insistenza.
Che il ragazzo all’angolo della strada aspettava, in realtà, la ragazza che avanzava proprio alle sue spalle.
Non si era resa conto che la risata del bambino, che tanto l’aveva precedentemente tormentata, non si era affievolita, ma risuonava sempre più vicina.

Quando rialzò la testa, decisa nel ritornare indietro, un intenso raggio di sole le colpì inaspettatamente gli occhi, obbligandola ad arretrare di pochi passi e a coprirsi il volto con una mano.
Perse l’equilibrio, scontrandosi contro qualcosa.

O qualcuno.

“Harry” - la voce apprensiva di una donna venne subito sovrastata dal piagnucolio spaventato di un bambino.

Hermione trasalì nel sentire quel nome.
Improvvisamente, poche righe della missiva indirizzata a sé stessa le tornarono alla mente.

Harry e Ron mi staranno cercando disperatamente.
Quelle parole - quel nome - appariva vero.

Si era scontrata proprio contro quel bambino di nome Harry.

Qualcosa le scoppiò nel petto.
Poco sopra allo stomaco.
Un senso di calore l’avvolse vivamente, raggiungendo la profondità della gola.
Voleva gridare, urlare quel nome che portava con sé quell’ondata di tranquillità affetto.

La madre del bambino le si avvicino prima che potesse dar spazio al suo sfogo.

“La prego, mi scusi” - cominciò, porgendole la mano per aiutarla a rialzarsi - “l’ho perso di vista un solo secondo e…”

Di colpo le parole le vennero meno.
Voleva parlare. Sentiva nella sua mente l’eco delle parole che stava per pronunciare, ma qualcosa glielo impediva.

La ragazza, intanto, la osservava, cercando di scorgere qualcosa che potesse aiutarla ad associare la sua persona ad un nome, o ad un ricordo lontano.

I lunghi capelli scuri mettevano in risalto la carnagione rosea.
I tratti del suo volto, seppur marcati, rivelavano naturale dolcezza.
Gli occhi castani, bagnati da leggere lacrime, sembravano scoppiare di gioia.
Il loro intenso bagliore, però, sembrava forzatamente velato da un’ombra oscura.

“Hermione sei proprio tu?” - azzardò, avanzando di qualche passo, richiamando la sua attenzione.

Era davvero lei...
Era più magra, certo.
Il volto era più pallido, comprensibile.
I capelli più lunghi.
...ne era sicura.

Senza attendere risposta, la sconosciuta poggiò a terra il fagotto bruno che stringeva tra le braccia, avanzando con incedere precipitoso ed impaziente verso la riccia.
Incespicò nei suoi stessi passi, ma riuscì a coinvolgerla nel suo disperato abbraccio.

Una stretta vigorosa.
Sentita.

“Per Morgana Hermione!” - aveva esclamato con irruenza, staccandosi appena dall’abbraccio per stringerle le mani.
Erano fredde.

“ Per molto tempo abbiamo cercato di metterci in contatto con te, per avere tue notizie. I tuoi genitori dicevano che stavi bene e che ti saresti fatta risentire tu, prima o poi.”

Improvvisamente lo sguardo le si rabbuiò e la voce squillante si ridusse ad un impercettibile sussurro.

“Dopo quello che è successo pensavamo che volessi restare da sola. Almeno per un po’. Ne avresti avuto tutte le ragioni.”
“L’ importante è che tu stia bene.” - si affrettò ad aggiungere.

Hermione, intanto continuava a fissare la donna davanti ai suoi occhi, senza realmente osservarla.
Aveva lo sguardo assorto nel nulla.

“Dopo quello che è successo.”

Eccolo lo sprazzo di luce che cercava.
Un indizio che non l’aiutava a superare il buio del suo passato, ma lo definiva.

Cos’era accaduto?
Chi era quella donna?
...e perché i suoi capelli ora erano più chiari?


“Mi spiace.” - esordì amareggiata, assumendo un espressione greve -“ Anche se lei mostra di conoscermi, io non so chi lei sia.

Sentì la presa sulle proprie mani allentarsi.
Il volto dell’estranea impallidì all’istante, mentre i suoi occhi si scurivano inspiegabilmente.
Non avevano perso solo la loro lucentezza, ma avevano effettivamente cambiato sfumatura.

“Ma cosa dici?” - chiese sommessamente.
“Sono io Herm. Sono Tonks.”

La ragazza distolse lo sguardo.
Troppo faticoso reggere allo sconforto rifulgente in quelle iridi cangianti.
Le doveva delle spiegazioni.

“Poco tempo fa, mi sono risvegliata in una stanza del St Mary's Hospital.” - iniziò spiegare
“Non ricordavo nulla: né il mio nome, né qualunque cosa della mia vita passata. Sapevo solo che il mio nome era Hermione Granger.”

Le parole uscivano a fatica.

Intanto, Tonks l’ascoltava in silenzio.
L’incredulità stampata sul suo volto.

“Con il tempo ho cercato di rassegnarmi, di ricominciare a vivere, ma era qualcosa mi diceva che c’era qualcosa che non andava. Poi a casa ho trovato una lettera dove era indicato questo posto e al suo interno c’era questa photo.” – terminò estraendo l’istantanea e porgendola alla donna.

La metamorfomaga la raccolse esitante.

Lo sguardo ancora puntato sulla figura della riccia.
Da quando la conosceva, non l’aveva mai vista così profondamente afflitta.
Scoraggiata dal dubbio.

Fece scorrere, poi gli occhi, sulla photografia.
Era babbana e raffigurava l’Hermione di un tempo.

Fiera ed orgogliosa ragazzina.
Coraggiosa strega.

Quella era Hermione.

Indossava l’uniforme di Hogwarts.
Lo stemma Griffyndor risaltava sul grigio del maglione.
I suoi brillanti colori richiamavano quelli del cravattino a righe rosse e oro.

La rigirò tra le mani.
Sul retro della diapositiva era riportato qualcosa, probabilmente scritto di pungo della stessa ragazza.

Settimo anno.


“Qualunque cosa tu sappia, Ti Prego, aiutami.” - la supplicò.

La madre aprì bocca per parlare, ma il piccolo Harry le si avvicinò, strattonandola per i pantaloni.
“Mamma, sta nevicando. Io ho freddo, andiamo a bere una cioccolata calda?”

Hermione scosse la testa.
Aveva fallito di nuovo.
Si sentiva ancora più avvilita di prima.

“Posso offrirne una anche a te?” - l’invito di Ninphadora la prese alla sprovvista.
“Ti prometto che farò di tutto per aiutarti.” - disse infine.
I tre, insieme, si avviarono verso la caffetteria all’angolo.

***

Il cielo era diventato di un profondo color plumbeo.
Il chiacchierio del locale faceva da sottofondo all’ansia che animava Hermione.
Ansia di conoscere.
Di sapere.
Finalmente.

Avevano ordinato una cioccolata calda e due thè.
Uno alla menta.

Aveva storto il naso disgustata, quando la donna lo aveva ordinato, ma Tonks le aveva assicurato che si trattasse della sua varietà preferita.

Almeno quello era un punto di partenza.

La cameriera si era mostrata servizievole, nonostante l’eterna indecisione del piccolo.
Era indeciso tra la cioccolata a latte e quella a nocciola.

La madre lo osservava estasiata.
Deliziata della piccola fossetta sulle guance.

Nell’attesa, Hermione aveva raccontato alla donna della lettera che aveva trovato.

Le aveva raccontato del senso di smarrimento e di ansia che traspariva da ogni parola.
Non era semplice descriverlo, esporre quei sentimenti, per quanto fossero veri.
Avrebbe potuto raggirare l’ostacolo mostrandole una lettera, visto che l’aveva riposta accuratamente nella tasca del cappotto, eppure qualcosa – un istinto – le diceva che quello era il posto più sicuro dove tenerla.
Così, nel raccontarle il suo contenuto, aveva anche volutamente taciuto su certi dettagli.

Come il senso di colpa che la dilaniava per essere scappata da qualcuno per cercare qualcosa che in realtà non avrebbe dovuto cercare.

La metamorfomaga, dal canto suo, continuava ad osservare la photo.
Come dirle che in realtà quella era una scuola di “Magia e Stregoneria” e non un “Istituto per Studenti Particolarmente Dotati”, come le avevano raccontato i genitori?

La ragazza che aveva seguito l’ordinazione, intanto, arrivò con un vassoio, sul quale erano riposta tre tazze fumanti.
Le poggiò sull’elegante tavolino e si congedò augurando loro la buona giornata.

Harry si tuffò subito sulla sua tazza, sporcandosi teneramente il piccolo ansino.
Hermione rigirava svogliatamente il cucchiaino nella sua tazza di thè.
Il liquido era di un intenso color ambrato ed emanava in piacevole profumo di menta fresca.
Si bloccò improvvisamente, come sorpresa da una rivelazione.

Le ricordava qualcosa, ma non sapeva esattamente dire cosa.

“Hermione.” - intervenne Tonks - “Scusa, ma non ti è mai capitato qualcosa di strano in questo periodo?”

La ragazza la osservava stranita, non capendo il senso di quella domanda.

“Mi spiego, ti è mai capitato di fare qualcosa di strano quando sei particolarmente arrabbiata o provi intensamente qualcosa?”

Ecco, così la domanda appariva molto più chiara.

“Veramente, non saprei.” - si giustificò, portando la tazza alle labbra.

Tonks sospirò sconsolata.
Era dura.
Lo sapeva.
Va bene, sarebbe andata dritta al sodo.
Il tatto non aveva mai fatto per lei.

“Hermione sei una strega.”

In quello stesso istante, l’intero locale si era voltata nella loro direzione, al rumore di una tazza che si infrangeva contro il pavimento, riversando sulla ceramica bianca l’intero liquido ambrato.



 
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Selene_Black
view post Posted on 6/2/2008, 23:01




A quel loro che non c’è mai stato.
A quel 26 che non hanno mai vissuto.



Tell Me A Story



Nessun ricordo t'angustii del ieri passato,
E non gridare ancora per un domani non nato.
Non confidare in quello che già passò, che non venne.
L'Attimo passa felice, e non sprecare la Vita.

(Nessun ricordo t'angustii...
di
Omar Khayyâm)



Hermione camminava avanti e indietro lungo una stradina all’angolo di Grimmauld Place.
Misurava a grandi falcate la distanza tra sé ed una panchina poco distante, scoccando, di tanto in tanto, un’occhiata al piccolo Harry e alla giovane Tonks lì seduti.

Dopo aver rovesciato la tazza di thè, la ragazza si era educatamente scusata, pagato frettolosamente il conto, per poi catapultarsi fuori dal locale, seguita dalla donna che aveva conosciuto quella mattina e dalla pulce more stretta tra le sue braccia.

Il capelli di Ninaphadora erano tornati del loro colore originario.

Quella che in precedenza le era sembrata una semplice svista, una banale distrazione, ora si rivelava come una ragione ben definita.

Un Perché che, finalmente, trovava una risposta.
Una porta che si spalancava, illuminando l’antro buio del suo passato, seppur con una luca ancor più fievole di una candela.


Gli alberi ai lati della lunga strada brillavano di una candida chioma, mentre la neve cominciava lentamente a sciogliersi sotto il fievole tocco dei raggi di sole.
Il soffice strato ovattato fece spazio ai bruni ed esili rami.

Il contorni di quel mondo, di cui solo in quel momento iniziava a sentirsi parte, divenivano, pian piano, sempre più nitidi e brillanti.

Più certi.

“Hermione, tu sei una strega!”



Teneva le mai al riparo dal freddo nelle calde tasche del soprabito che indossava.
Gettando, lentamente, un piede dopo l’altro, meditava su quelle parole.

Apparentemente calma.
Pacata come quel cielo terso e cristallino che cercava di farsi spazio tra il monotono grigio delle nuvole.
Azzurro e limpido - sereno - dopo aver superato le improvvise intemperie di quella mattina, attendendo di essere nuovamente offuscato.

Non si sentiva nervosa.
Nemmeno spaventata.
Era per questo motivo, per questo stato d’animo confusionario, che Hermione si sentiva turbata.

Continuava a guardare le due figure sulla panchina.
Non riusciva a perderle di vista.
Con occhio vigile, quasi le sorvegliava.
Come se da un momento all’altro potessero inspiegabilmente sparire.

Il piccolo Harry rideva fragorosamente, seguendo attentamente una smorfia della madre.
Poteva avere al massimo due anni, o poco più.

Le nivee guance erano lievemente arrossate in preda al freddo.

Il colore di occhi e capelli era perfettamente uguale a quelli di Tonks.
Troppo simili per essere uguali.
C’era qualcosa, un dettagli, che li rendeva visibilmente diversi.
Hermione ne era sicura.

Buffo, pensò, per la prima volta, da quando si era risvegliata, era certa di qualcosa e questo qualcosa non aveva nulla a che fare con la sua vita o di quello che ne rimaneva e che cercava di mettere insieme.

Improvvisamente, un grosso cane dal folto pelo nero si era avvicinato alla panchina con aria minacciosa. Il piccolo, spaventato, si era stretto ancor di più nell’abbraccio della mamma, che aveva provveduto a mandarlo via.
Adesso lo cullava tra le sue braccia.

Guardando Harry, Hermione non potè fare a meno di pensare a sé stessa.
Chissà se, come gli atri bambini, anche lui aveva paura del buio.

Durante tutte quelle giornate trascorse da sola chiusa in casa fingendo di vivere, Hermione attendeva la sera.
La desiderava, perché segnava la fine di un altro triste giorno, ma allo stesso tempo la temeva.
Stesa sul suo comodo e freddo letto, si raggomitolava su sé stessa, sentendosi proprio come una bambina.
Sola e costretta in una stanza totalmente buia.
Spesso sognava di trovarsi in una stanza priva di qualunque fonte di luce, seduta sul gelido pavimento, stringendosi le ginocchia al petto per placare il tremolio che le invadeva il corpo.

Il buio le faceva paura.
La disorientava.
Inquietava.


Eppure attendeva.

Sapeva che , prima o poi, da quella finestra, posta troppo in alto per essere vista, sarebbero spuntati i primi raggi del sole.

Finalmente l’alba sarebbe giunta a tenerle compagnia.

Hermione, in fondo, sapeva che nelle parole di Tonks c’era qualcosa di vero.

Fu per questo che si era avvicinata sedendosi accanto ad Harry.
Con una mano ostentava calma a sicurezza, carezzandogli la folta chioma scura, mentre intrecciava nervosamente le dita dell’latra poggiata sul ginocchio.

Sicura del suo gesto, ma incerta nel voler sapere.

Prese un bel respiro, grosso quanto la decisione che aveva preso, e mandò giù l’aria.
Il fresco getto le attraversò il naso, poi le solleticò la gola ed, infine, le riempì i polmoni.

Era stato facile.

Quella sensazione di fastidiosa pesantezza che provava all’altezza del cuore sembrava affievolirsi, mentre il nodo alla gola lentamente si scioglieva.

Quando parlò, la sua voce non sembrava più provenire da troppo lontano.

“Voglio sapere tutta la verità” - sospirò, stringendo a pugno la mano libera.

Il viso di Ninphadora da preoccupato e stranito, nell’ osservare il turbinio del dissidio riflettersi negli occhi dorati della sua vecchia amica, si distese in una maschera di pura e sincera felicità.

“Sono qui per questo Hermione.”

***

Immerse nei loro muti giochi di sguardi, le due donne non si erano res conto dell’improvviso incedere del tempo.

Lo stesso tempo che, inesorabile, si divertiva nel tenerle compagnia.
Quelle stesse lancette che, più lente di un sospiro, scandivano la monotonia della sua realtà, ora sembravano rincorrersi senza sosta.

Irrefrenabile ed insistente, il tempo trascorreva vorticoso, inghiottendo il mondo nel suo turbine per raggiungere disperatamente qualcosa.

La Fine.

I giorni passati in agonia, in cui tutto era bianco, sembravano assurdamente lontani lì sotto i raggi del sole.

L’ora di pranzo avvicinava, mentre i tre facevano ritorno presso la strada principale.

Parte dei negozi aveva chiuso per la pausa di metà giornata.


La piazza si era rapidamente sfollate e di certo - questa volta - non si trattava di una mera impressione.

Hermione ne era certa.

Solo ora la ragazza si rendeva conto d quanto fosse inquietante quel luogo.

Su entrambi i lati della piazza si affacciavano disastrati edifici, tra i quali uno in particolare spiccava maggiormente.

Un’intesa macchia scura che strideva con la luce che aveva appena iniziato a scorgere.
Tuttavia, proprio quell’alone fosco l’attirava inspiegabilmente.

Stava muovendo i primi passi verso quella direzione, convinta come mai prima che quella fosse la loro meta, quando Ninphadora le strattonò una spalla.

Hermione si voltò titubante.

Perché la fermava?

Ancora una volta, si poneva un perché.

Possibile che stesse sbagliando strada?

Sembrava proprio di sì, a giudicare dal sorriso sornione sfoggiato da Tonks.

“Hermione cosa vedi laggiù?” - le chiese indicando proprio il luogo verso il quale si stava dirigendo.

La mora sorvolò sul primo impulso di voler dar voce alle sue domande, confidando sulla momentanea inutilità della cosa, descrivendole semplicemente ciò che le appariva davanti agli occhi.

Un a vecchia e fatiscente dimora.
Sembrava abbastanza antica, con l’esterno oltremodo rovinato.
Un edificio ancor più minaccioso degli altri.

Grimmauld Place n°12.



Il sorriso sulle labbra di Ninphadora divenne ancor più ampio e soddisfatto.
La ragazza poteva vedere quello che al suo tempo era stato il Quartier Generale dell’Ordine Della Fenice.
Questo era un ottimo punto da cui iniziare.

“Adesso potresti rivolgerti a qualunque passante, chiedendo di indicarti proprio il n°12?”

Hermione non rispose.
Rimase un breve istante lì, ferma soppesare l’assurdità di quella richiesta.
Poi, spinta dalla curiosità - o almeno era così che si era auto-convinta - si avvicinò ad un’anziana signore che proprio in quel momento le era passata accanto.

“Ehm, mi scusi?” - incominciò, cercando di reprimere tutto il suo imbarazzo.
Disagio del tutto comprensibile, tra l’altro.
Cosa c’era di tanto sconcertante nel chiedere informazioni riguardo un indirizzo?
Nulla.
Allora, per quale motiva poteva già assaporare il sapore amaro della risposta che sarebbe giunta?
“Mi dica pure.” - la incoraggiò quella nel vedere la sua insistente esitazione.

“M-mi saprebbe indicare, gentilmente, il numero 12 di Grimmauld Place?

La donna fissò Hermione per un attimo, poi socchiuse gli occhi divertita.

“Mia cara, l’avranno informata male! Vede?” - le indicò proprio il punto in cui lei vedeva quell’edificio che l’affascinava e la turbava allo stesso modo.
“Chissà quando, ma deve esserci stato un errore nell’assegnazione dei numeri e tra il numero 11 e il 13, hanno dimenticato di inserire il 12, a meno ché non corrisponda a quello spazio vuoto nel mezzo, ma ne dubito seriamente.”

La ragazza strabuzzò gli occhi basita, continuando a fissare lo stesso punto che per la donna al suo fianco era vuoto.

Come era possibile?
Grammiauld Place n°12 esisteva...
Poi, l’occhio incontrò lo sguardo comprensivo di Ninphadora poco distante.
...o no?

“Grazie.” - mugugnò, quasi volesse scusarsi, per poi allontanarsi.

Nel frattempo, Tocks aveva messo a terra il giovane Harry e, tenendolo per mano e senza aspettare che Hermione si avvicinasse ulteriormente, si diresse vero casa.

Saltellando allegramente, il bambino percorse gli ultimi metri che lo separavano dall’immensa porta nera.
Mantenendo a malapena l’equilibrio, si sporse sulle punte per raggiungere il pomo di ottone per cercare di aprire l’ingresso, ma la madre fu più rapida.
Con un semplice gesto iniziò a fare luce sulla verità.

Hermione socchiuse gli occhi, aspettandosi di essere investita da un accecante raggio di luce, che l’abbagliasse con al sua magia.
Ciò che trovò, invece, fu solo squallore.

Varcò la soglia, guadandosi intorno esitante.
L’ambiente era lugubre e cupo.
Più inquietante dell’esterno.
Tutto in quella casa sembrava emanare il pungente aroma della tristezza che si mescolava con l’odore dolciastro delle pareti ammuffite.

“Benvenuta a casa Hermione” - le disse la donna alle sue spalle, richiudendo la porta stando attenta al più impercettibile dei rumori.

“Per...”
Hermione stava per chiederle il motivo di tanta accortezza, ma il suo discorso fu interrotto da urla improvvise che costrinsero il bambino a tapparsi le orecchie con le mani.

Aveva usato un toni di voce normale, ma eccessivamente alto per i segreti lì nascosti.

“Ahhhhhhh” - proruppe un vocione roco.

La Granger si guardò intorno, cercando di capire da dover provenisse quel vociare, ma si ritrovò a puntare lo sguardo verso un vecchio quadro appeso alla parete dell’ingresso.

“Tu lurida feccia, fuori dalla mia dimora. Fuori di qui tu e quel bastardo di tuo figlio.” - inveì ancora la voce.

Se non fosse stato per il movimento di quelle labbra raggrinzite, Hermione avrebbe pensato che si fosse trattato di uno scherzo di pessimo gusto.

“Chi altro insudicia la mia nobile casa?” - domandò sardonica.
“Ma bene! La mezzosangue amica di Potter. Non potevi crepare insieme alla tua razza? Esci di qui sporca mezzosangue.” - sibilò verso Hermione.

Come precedentemente nella caffetteria, la ragazza venne travolta dall’onda ambigua della consapevolezza.

Consapevole di aver già udito quelle parole.
Consapevole del non sapere il dove, né il quando.


Il ricordo iniziò a rimbombarle nelle orecchie.

Prima un fievole sussurro.
Un sibilo serpentino.

Sporca...

Per poi diventare più rumoroso ed assordante.
Quasi come una fragorosa e spensierata risata.

...mezzosangue.

La ragazza stava ancora rimuginando su quelle parole, quando vide Tonks estrarre dalla tasca interna del soprabito quello che ad occhio comune sarebbe apparso un insignificante bastoncino di legno.

Hermione, invece, sapeva che si trattava di ben altro.

Con la sua bacchetta, la metamorfomaga fendé l’aria e, come per magia, la vecchia megera si zittì, coperta da una logora tenda nera.

“Vecchiaccia acida.” - borbottò.

“Ma...c-cosa...”
Cercava di articolare una frase di senso compiuto.

Quella mattina le avevano detto che in realtà era una strega, un vecchio quadro trovava gusto nell’inveirle contro. Che senso aveva chiedere spiegazioni su una bacchetta svolazzante?

“Lasciamo perdere” - sbuffò rassegnata e scuotendo flebilmente la testa.

“Come vuoi.” - acconsentì l’altra. “Se vuoi seguirmi, la cucina è da questa parte.”

Fece strada lungo un angusto e stretto corridoio, che terminava dando su una porta chiusa, mentre sulla sinistra si affacciavano due rampe di scale.

Una tetra e spaventosa, con delle orribili decorazioni sul corrimano, simili a delle teste rimpicciolite, procedeva verso il piano inferiore.

L’altra, invece, doveva portare verso a cucina.

Scesero adagio i vecchi scalini.
Erano alti e in legno.
Ogni passo scricchiolava nell’aria, rendendo l’ambiente ancora più minaccioso.

“Oops.” - un crepitio più sonoro fece intendere alla giovane che Tonks stava per perdere l’equilibrio.
Aveva sbadatamente saltato l’ultimo gradino.
“Sto bene” - rassicurò ad Hermione alle sue spalle.

Era la seconda volta, da quando la conosceva, che la donna incespicava nei suoi stessi passi.

Forse non si trattava di incidenti sporadici.
Forse Tonks era un tipo abbastanza distratto.


Hermione si ritrovò a sorridere...

Era strano pensare a Ninphadora, che all’apparenza sembrava una donna tutta d’un pezzo, una madre vigile ed attenta, come ad una persona goffa.

...il sorriso, però, si spense con la stessa rapidità di un attimo.

Questione un istante ed si ritrovò a negare quello stesso pensiero.

Non riusciva a spiegarsi come, ma le risultava molto più semplice pensare alla dona totalmente immersa nella sua sbadataggine.

“Non ti siedi?”

Non se ne era resa conto, ma era rimasta ferma ai piedi della scala a fissarla.

“Oh, certo!”

La cucina era inverosimilmente grande e un lungo tavolo l’attraversava per tutta la sua lunghezza.
Ai suoi lati, accostate alle pareti, c’erano quattro credenze.
Forse, un tempo,in chissà quale passato, facevano mostra di lustre stoviglie.
In quel presente, invece - nel suo presente - apparivano spoglie e trasandate.

Il silenzio aleggiava ancora nella stanza, carico di tensione, quando la Ninphadora le porse una fumante tazza di thé.

“Giusto, in caffetteria non siamo riuscite a berlo.” - disse tra sé e sé.

La donna prese posto di fronte a lei, mentre Harry si era fatto poggiare sul massiccio tavolo.
Scalciava l’aria, annoiato, mentre con le dita giocherellava con una ciocca dei capelli della madre.

“Hermione?”

Al suono del suo nome vibrare alla nota apprensiva della voce della metamorfomaga, posò accuratamente la tazza sul tavolo, al sicuro da altre eventuali rivelazioni disastrose.

Con estrema lentezza, alzò il capo per scontrarsi con il suo sguardo curioso.

“Posso rivedere la photo?”

“Certo” - le rispose, mentre riprendeva la diapositiva, facendo ben attenzione a non confonderla con la lettera.

L’altra la fissava con aria assorta, come se solo con lo sguardo potesse immergersi e fondersi con essa.

“Si tratta di una photo babbana.” - iniziò a spiegare -“ I babbani sono coloro privi di poteri magici.”
Anticipò la risposta alla domanda che Hermione le stava per rivolgere.

“Questa è Hogwarts, o meglio, il suo parco.”

I suoi occhi rifulgevano della luce della nostalgia.

“Indossi la divisa della scuola e questo...” - indicò un puntino appena più luminoso -“...è la tua spilla da Caposcuola Gryffindor!”

Il bambino rizzò le orecchie, interessato a quel racconto.
Tonks sorrise amorevolmente.
“Scusalo, ma questa è la sua storia preferita. Diventa sempre euforico quando ascolta la storia del suo eroe. Hanno anche lo stesso nome, sai?”
Fece sedere il piccolo sulle sue ginocchia e ricominciò il suo racconto.

Tante erano le domande che avrebbe voluto porle, ma come il piccolo, anche Hermione rimase affascinata da quelle parole.
La realtà era stata letteralmente sopraffatta da quella storia.

Immaginava una ragazzina dai lunghi e crespi capelli ricci gironzolare per un castello incantato, dove i quadri parlavano e facevano da guardia dormitori nascosti e fantasmi si dilettavano a parlare con gli studenti.

Fantasticava su imprese eroiche compiute con i suoi amici.
Pietre nascoste, mostri che si aggiravano nelle tubature, innocenti salvati da carceri oscuri.
Arcani misteri da svelare.

Era tutto fantastico, certo, ma, per quanto si sforzasse di crederci, era solo in grado di immaginare tutto ciò.
Era tutta solo una bellissima favola.

Tonks aveva percepito i pensieri della, accentuati da un improvviso distacco.

Il suo malumore l’aveva contagiata.
Voleva davvero aiutarla.

Ma come?
Il suo sguardo, poi, si illuminò.

“Aspettami qui.” - disse alzandosi e dirigendosi verso la scala.
“No Harry, tu resti con Hermione.” - aggiunse, a buon ragione.
Il piccolo, infatti, si era già sporto per scendere dal tavolo e seguire la mamma.
A quelle parole aveva messo su un fantastico broncio.

La metamorfomaga tornò poco dopo con in mano una vecchia scatola malandata.

“Ecco qui, ora dovrebbe essere tutto più semplice.”

La riccia aveva immaginato che in quella scatola ci fossero delle foto, ma non quel tipo di foto.

Erano tutte diverse da quella che aveva trovato in casa.

Si muovevano tutte.

“Queste sono photo magiche?”

Ninphadora annuì felice.

Eccola.
Riusciva finalmente a vedersi.
Una bambinetta undicenne che stringeva al petto un carico di vecchi libri troppo pesanti.
Ancora lei.
Stesa nel letto di quella che sembrava un infermeria.
Sembrava pietrificata.
Assurdo…ma forse non così troppo come sembrava.
In un'altra stentava a riconoscersi.
I capelli erano perfettamente lisci e raccolti in uno splendido fiocco.
I suoi denti non erano più troppo sporgenti.
Indossava un abito color pervinca.
Al sui fianco c’era il suo cavaliere.
Sembrava felice, eppure i suoi occhi rivelavano che qualcosa non andava.
Erano tristi.
Il retro diceva “Ballo del Ceppo”.

Poi eccola nell’ultima photo.
Non doveva essere stata scattata troppo tempo addietro.
Era molto più simile alla persona che aveva iniziato ad osservare nello specchio la mattina.

Alla sua destra un ragazzo dai folti e scombinati capelli neri le passava un braccio intorno alla spalla.
Portava un paio di occhiali tondi sul naso.
Sulla fronte brillava la famigerata Cicatrice a forma di saetta.
Quello doveva essere Harry Potter.

Alla sua destra un ragazzo sene stava rigido ed imbarazzato, mantenendo una debita distanza.
Come se avesse paura addirittura di sfiorarla.
Capelli rossi, il viso lentigginoso.
Ronald Weasley.

Hermione carezzava i loro volti lì raffigurati con la stessa cura che avrebbe riservato ai suoi veri amici.
Non li ricordava, ma sapeva che le mancavano.

Dalla foto, compariva a scatti il voto trasandato e sciupato di un uomo che di divertiva a predenti in giro.

“Papà, papà”
Harry puntava il dito verso l’uomo nella photo, cercando di sfuggire dalla presa della madre.

“Sì Harry, quello è il tuo papà. Sai? Hermione è una sua amica, è anche lei un’Auror.”
Nonostante cercasse di mantenere un tono di voce contenuto, il suo volto si rabbuiò e la cosa non passò inosservata alla ragazza, che, intanto, si era avvicinata ai due.

“Cosa gli è successo?” - domandò a bruciapelo.

Tutte le domande che quel sogno aveva soppiantato con le sue meraviglie le tornavano alla mente.



“Perché Harry e Ron non mi sono mia venuti a cercare in tutto questo tempo?”
Il suo tono di voce iniziava a diventare alto ed ansioso.

Rabbia repressa in ogni parola.
Delusione in ogni lacrima che iniziava a sgorgare.


“Hermione.” - l’ammonì Tonks decisa -“Non permetterti nemmeno di pensarle queste cose.”
La riccia, abbassò la testa mortificata.

Gettò uno sguardo all’orologio alla parete.

“Si è fatto tardi. Penso che sia ora di andare. Scusa per il disturbo”.

La sedia stridette violentemente contro il vecchio pavimento, segno che la rabbia ancora non era scemata.

Aveva messo piede sul primo gradino, quando la voce di Ninphadora la colpì improvvisamente con la sua calma.

“Domani mattina, vediamoci davanti alla caffetteria di questa mattina. Ti porterò da loro.”

***

Harry James Potter.
31 luglio 1980 - 24 agosto 2000
Solo sè stesso




Nell’immenso e decaduto parco di Hogwarts, tra ombrosi sicomori, si stanziavano due tombe.
Il marmo bianco delle lapidi rifletteva la luce del sole.

La prima, la più maestosa, apparteneva all’anziano preside di Hogwarts: <b>Albus Silente.
Imponente nella morte quanto nella vita a detta di Tonks.

Al suo fianco, si ergeva, invece, una lapide più modesta.
Semplice.

Era lì che era sepolto colui che aveva salvato il mondo, il Bambino Sopravvissuto.
Il Prescelto
che aveva sconfitto Voldemort.

“Dopo che avete lasciato Hogwarts siete entrati nell’Ordine della Fenice e poco dopo ha avuto inizia la guerra.”

Eccola la parte più difficile, in cui il sogno perdeva ciò che lo rendeva fantastico, per tramutarsi in un temibile incubo.

“Voldemort reclutava sempre più seguaci e la cosa gli risultava semplice e noi eravamo sempre più pochi. Abbiamo combattuto contro Mangiamorte, ne abbiamo interrogati a decine, ma abbiamo vissuto una situazione di stallo per più di due anni, costretti a nasconderci e a nascondere le nostre famiglie per tenerle al sicuro.”

Ninphadora quasi le sussurrava quelle parole, mentre lo sguardo di Hermione si perdeva nell’immensità di quel dolore mai vissuto.

“La mia famiglia ha abbandonato l’Inghilterra insieme ad Harry. Remus voleva che scappassi anche io, invece sono restata al suo fianco. Una notte, poi, le menti di Harry e Voldemort sono entrate di nuovo in contatto e siamo entrati a conoscenza dei suoi piani.
Un colpo di fortuna?
Non era la prima volta che il Signore Oscuro faceva uso di questo trucchetti per trarre Harry in inganno, eppure ci siamo fidati.
La visione era giusta. Eravamo riusciti a coglierli di sorpresa e la battaglia aveva avuto inizio.”

Il vento soffiava tra i rami.
Ogni fruscio sembrava riportare con sè i rumorosi ricordi di quella notte.

“Noi ci occupammo dei Mangiamorte, ed Harry di Riddle. Era così che la profezia voleva.
All’alba del 24 agosto, dopo un’itera notte a combattere, Harry aveva vinto la sua guerra, ma la battaglia non era finita.
C’erano ancora i Mangiamorte da catturare.”

La sua voce si incrinava ad ogni parola.
Ad ogni ricordo.

“Ci eravamo divisi per acciuffarli. Tu eri con Ron ed Harry io con Remus, poi ci siamo imbattuti in Fenrir Greyback.
Remus voleva chiudere il conto in sospeso che aveva nei suoi confronti. Tu non lo ricordi ma era un Licantropo ed era stato proprio il Mangiamorte a morderlo.
Così io sono andata avanti e...”

I suoi occhi erano lucidi e le lacrime scendevano senza che se ne accorgesse.

Ora si fissavano negli occhi.

Dolore che si perdeva nel dolore.

“Poi è successo tutto troppo in fretta.
L’urlo di Remus, la maledizione di Dolohov che colpiva Ron e il corpo di Harry tra le tue braccia.”

Anche Hermione piangeva.
Un po’ per il dolore, certo, ma specialmente perché lei di quella notte non conservava nessun ricordo.
Né di suoi compagni.
Nè dei suoi amici.

Nulla.

“C.cosa è successo a Ron?”

“La guerra ci ha cambiati Hermione, c’è chi si è trovato senza una casa, chi ha perso parte della propria famiglia e chi ha perso la propria vita. Ron, invece, ha perso sé stesso.
E’ ricoverato al San Mungo, al quarto piano: lesioni da incantesimo, fatture ineliminabili, maledizioni, applicazione errata di incantesimi.
Non si conosce il contro-incantesimo per la maledizione che gli hanno scagliato e adesso giace lì privo di vita. È vivo ma è come se non lo fosse.”

Una piccola risata isterica seguì quella spiegazione.

“Scusa, potrà sembrarti senza senso, ma non so spiegartelo bene.”

Hermione annuì, poi abbassò lo sguardo.

“Harry, invece?”

Anche se faceva male, voleva sapere.
Non poteva conservarne il ricordo, ma almeno quella storia avrebbe fatto parte di lei.


“Nessuno sa con precisione quello che successo. Accanto a voi c’era Draco Malfoy, un Mangiamorte.”

Una freddo brivido attraversò la schiena di Hermione.
Sinistro e violento come il suono di quel nome.


“Continuavi a ripetere che non era possibile, poi ti sei scagliata contro Draco mentre lo portavano via. Con un incantesimo Reversus hanno scoperto che la sua bacchetta a scagliato un Anatema che uccide, probabilmente quello che ha ucciso Harry. L’hanno interrogato anche, visto che tu, l’unica testimone, non eri irrintracciabile, ma sotto Veritaserum ha dichiarato di non essere stato lui, così è stato scagionato e sono certa che i soldi del paparino l’hanno aiutato anche in questo, nonostante il dissesto in cui verte ora la famiglia.”

La ragazza ascoltava annuendo come coloro che dicono di aver capito, quando in realtà afferrano solo la metà della questione.
Hermione, invece, capiva sul serio le parole di Tonks.
Quel nome, la drammaticità e la crudeltà della cosa, le sembravano lontanamente familiari.

Ancora il silenzio teneva loro compagnia.

A giudicare da sole alto nel cielo, si erano trattenute lì fin troppo tempo.

“Forza Hermione, torniamo ad Hogsmeade. Dalla Testa di Porco ci smaterializzeremo direttamente nelle vicinanze del San Mungo.”

La ragazza scosse la testa.

“No, voglio rimanere ancora un po’ qui.”
“Ma Hermione, come tornerai a casa?” - ribattè Ninphadora.

La ragazza non sapeva rispondere.
Si morse il labbro inferiore.
Aveva ragione.
Non sapeva come ritornare.

“Facciamo così.” - intervenne nuovamente Tonks, venendole incontro -“Recati da Aberforth, lui saprà come avvertirmi ed io verrò a riprenderti, va bene?”

“Perfetto” - rispose semplicemente.

Con un sorriso, Tonks l’abbandonò.

Ora era sola, nell’unico poto chela legava al sui passato.
Quel passato di cui i suoi genitori non l’avevano messa al corrente.

“Dovremmo dirle tutto.” - sbottò improvvisamente una voce maschile.
Un vociare confuso - ansioso e preoccupato - le giunse alle orecchie.
“Ma sei impazzito? Ne soffrirebbe troppo” - qualcuno si avvicinò al letto, carezzandole la guancia.


Non poteva rimproverare loro una scelta del genere, forse avrebbe fatto al stessa cosa.
Li avrebbe ringraziati, appena avrebbe fatto ritorno nel luogo da cui era arrivata.
Quel poto che adesso se sembrava tanto lontano

Avvolta nelle le rovine di quel luogo, Hermione decise di guardarsi un po’ intorno.
Magari, ripercorrendo i luoghi in cui era cresciuta, qualcosa le sarebbe tornato alla mente.

Fu così che abbandonò il parco, diretta al castello.
Immersa nelle sue riflessioni, però, non si era accorta di un rumore alle sue spalle.

Qualcuno si era appena smaterializzato lì ad Hogwarts.

A tenergli compagni solo lo scricchiolio delle fogli ed il frusciare del vento.
All’odore dell’inverno, però, si mescolava un altro profumo.
Quell'aroma così suo.
Quell’effluvio che aveva il potere di inebriarlo con il senso di pace e sicurezza che emanava, che lo rasserenava quando sentiva la fine che incombere.
Quella fragranza che l’aveva compagnia intere notti, prima di addormentarsi da solo in quel letto così freddo e lontano.
Senza di lei al suo fianco, ma con il suo volto in ogni pensiero.
“Salve San Potter.”Avvolto in un classico cappotto nero, Draco Malfoy si era recato a far compagnia alla sua vittima.


 
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Selene_Black
view post Posted on 8/4/2008, 12:17




-Ad un amico.
Un nemico.
Colui con cui ho condiviso sogni, pensieri e segreti.-

Just A Moment...



«A volte basta un attimo per poter scordare una vita, ma a volte non basta una vita per poter scordare un attimo.»
Jim Morrison



Candide nuvole ovattate screziavano il cielo del tramonto.
Il blu reale si stemperava nel viola inteso, per poi sfumare in macchie vermiglie, lì dove il sole stava calando.

Oltre le luci della città.
Oltre l’orizzonte.
Oltre quella nuova realtà.

Hermione osservava quel sublime spettacolo seduta sul divano del suo salone.
Quello davanti all’immensa vetrata.
Il sua angolino prediletto, dove amava rifugiarsi quando tutto - vivere - diventava insostenibile.

Quell’angolo in cui tutto era ricominciato in un momento.

Una lettera ritrovata per caso.
Scritta da lei.
Indirizzata a sé stessa.


Il calore della casa l’avvolgeva in un appagante abbraccio.

Il fuoco scoppiettava allegramente nel camino.
La sua luce si rifletteva nella semioscurità della camera, illuminando con i suoi riverberi le decine e decine di foto che tappezzavano le pareti ed occupavano immensi scaffali.

Frammenti di quel tormentato passato che - con lacrime e sorrisi - era riuscita a ricostruire.
Nodo che era riuscita a sciogliere.


Manici di scopa che si rincorrevano all’interno delle inquadrature.
Sorrisi che apparivano e scomparivano per magia.
Paesaggi incantati che si illuminavano di spettacolare.

Ricordi che non esistevano, ma che con il tempo erano diventati suoi, aggiungendo nuovi tasselli a quel mosaico variopinto.

Il suo presente.
Il futuro.

La sua vita.

Ed eccolo lì l’ultimo capitolo di quella favola.
Al suo fianco.

“Mamma?” - mugugnò il piccolo fagotto di appena cinque anni, avvolto in una coperta verde.

Sbatté più volte le palpebre, ancora intorpidita per il sonno o forse per il freddo pungente di metà gennaio inoltrata..

Allungò le braccia per scaldarsi nel morbido abbraccio della madre.

“Ben svegliata!” - le sussurrò, portando le labbra all’altezza dell’orecchio e rispondendo alla stretta.

Per quanto fosse cresciuta, Hermione conservava lo stesso tono di voce che l’aveva piacevolmente inebriata al suo risveglio.

Rassicurante in ogni sua sfumatura.

“Amore, alzati. La mamma tra un po’ deve andare via.” - la informò allontanandosi dalla piccola.

Sua figlia.
La loro bambina.

L’avevano chiamata Andrea.
Un nome insolito, ma le piaceva il suono che emanava.

Così armonioso nel pronunciarlo.
Così caldo nell’ascoltarlo.


La bambina, però, per tutta risposta si era nascosta sotto la coperta, tirandola fin su alla testa.

“Andrea!” - l’ammonì la donna con tono di falso rimprovero, scoprendole il volto.

La piccola arricciò le labbra in un buffo broncio, mostrando tutta la sua disapprovazione.

La donna stava per rialzarsi, quando la tenera manina tonda andò a stringere la sua, richiamando l’attenzione della madre.

“Prima di andare via, mi racconteresti di nuovo la storia?”
Le sue iridi speranzose si specchiavano nelle materne pozze bronzee.

Hermione stava per ribattere…

Trepidante per l’attesa, Andrea aveva iniziato a mordersi il labbro inferiore.

Le guance paffute infondevano un tenero rossore al volto diafano.
I serici capelli castani ricadevano lisci fino alle spalle.
Erano incredibilmente morbidi e sottili.
Setosi al tatto.
Spesso una ciocca più ribelle ricadeva fino sfiorarle fastidiosamente il naso.

Si somigliavano molto.
Madre e Figlia.
Come il padre, però, la piccola era oltremodo brava nel trovare tutti i modi migliori per poterle far cambiare idea.

Come dire di no a quegli occhi così grandi?

...invece, semplicemente le sorrise, tornando a sedersi accanto a lei.

“E va bene.” - fece rassegnata.

Gettò uno sguardo all’orologio alla parete.
Per fortuna aveva ancora un po’ di tempo.

Proprio quel giorno non poteva permettersi di tardare.
Non ancora una volta.

La bambina, dal canto suo, in preda all’euforia, si raggomitolò nuovamente sul divano, sprofondando nel racconto della madre.

Lentamente - in un attimo - il mondo che le circondava iniziava a svanire, disperdendosi nei meandri di quella vicenda che finalmente prendeva vita.

Attraverso le sue parole.
Costruita con le sue decisioni.
Creata da lei stessa.


Con una gomma ed una matita - forza d’animo e coraggio - aveva scritto il suo C’era una volta...

***



Hogwarts.
5 anni prima.

Camminava Hermione.
Attraversava vecchie aule, oramai abbandonate.
Si aggirava per bui e disastrati corridoi.

Con il fiato sospeso, seguiva quel filo invisibile che l’avrebbe dovuta legare a quei luoghi.

Scenari di indimenticabili avventure.

Ripercorreva un percorso apparente, all’interno di quel fatiscente castello.

Non le risultava difficile vagheggiare ed immaginarsi fiera ragazzina, dai capelli ricci e ribelli, camminare per quegli stessi corridoi con un carico di libri stretto al petto.

Oppure affiancata dai suoi amici, mentre si recavano a pranzo.
Harry e Ron.
Fedeli compagni con cui avrà trascorso felici serate, riuniti intorno al fuoco sulla Torre di Griffyndor.

Fantasie ed illusioni, tanto vivide da sembrare quasi reali.

Certo, la magia di quel luogo faceva sì che le riuscisse complicato scindere la realtà dell’immaginazione, eppure la ragazza avvertiva la differenza.

La sentiva quasi palpabile.
C’era sempre un dettaglio - una nota sfocata ed insicura - che sottolineava il divario.

A braccia conserte e passo stanco, si era recata verso il parco che circondava la scuola.
Alzò gli occhi verso il cielo.
Nuvole buie e minacciose offuscavano l’orizzonte, preannunciando un’imminente tempesta.

Ancora neve.
Morbida ed ovattata, silenziosa come un sogno.
O, forse, qualcosa di peggio.

Era giunto il momento di effettuare volontariamente un passo indietro.

Di certo quel posto non le sarebbe mancato.

Era perfettamente in grado di voltare pagina.
Anzi, poteva chiudere quel libro e riporlo sullo scaffale più alto delle libreria della sua vita.
Il tempo avrebbe risolto ogni cosa, ricoprendolo con un folto strato di polvere.

Sicuramente sarebbe stato facile.
Semplice come mentire a sé stessa.

La ragazza sorrise mesta.

In realtà, avrebbe conservato quel ricordo per sempre.
Gelosamente custodito nella sua mente.

Mai come quella volta, però, avrebbe preferito dimenticare ogni cosa.

Socchiuse gli occhi e tirò un lungo e profondo respiro, rannicchiandosi nelle spalle.

Improvvisamente la disarmante intensità di quel luogo la colpì con tutta la sua forza, turbandola più di quanto non fosse.

Una strana sensazione - acuta e lancinante - la trafisse poco sopra lo stomaco, all’altezza del petto per poi diffondersi lentamente in tutto il corpo.
Non le faceva del male, ma la infastidiva.

Avvertiva il fastidio per aver trovato un luogo che le infondesse un senso di familiarità, ma non poterlo chiamare casa.

Hogwarts, realmente parlando, non esisteva, così come quella parte di sé - e del suo passato - ad esso legata.

Aveva ancora gli occhi chiusi, quando una lacrima scesa sulle guance pallide.

Era così presa di suoi pensieri, che non si era accorta di aver iniziato a piangere.

Al primo rivolo, si aggiunse una nuova goccia, ancora più fredda e pesante.

Hermione dischiuse lentamente gli occhi.
Non erano le sue lacrime a bagnarle il viso, ma una cascata d’acqua che aveva iniziato a riversarsi senza sosta, rendendo tutto uniformemente grigio e acquoso.

Confuso.

“Dannazione!” - imprecò prima di addentrarsi nel parco, cercando riparo tra gli alberi.
Aveva iniziato a correre, con la vista ancora appannata a causa della pioggia.

Le palpebre erano diventate incredibilmente pesanti.
Minacciavano di chiudersi da un momento all’altro.


Un piede dopo l’altro, si dirigeva chissà dove.
Sapeva, però, che doveva seguire quella direzione.

Un momento prima l’acqua scandiva i suoi pensieri ed un istante dopo la sua mente si trovava al riparo in una radura.

Piccolo ed irregolare, lo spazio completamente isolato dalla vegetazione.

Rispetto al buio antro che aveva attraversato, risplendeva di un tenue calore.

Hermione faceva scorrere lo sguardo su ogni dettaglio.

Steso sul manto d’erba, c’era un tronco d’albero abbattuto.
Doveva trovarsi lì da molto tempo, a giudicare dallo strato fitto e ombroso di muschio di cui era ricoperto.

La giovane portò meccanicamente una mano alla tasca del giaccone, incredula.


Era lì che era stata scattata la foto che aveva ritrovato con la lettera.

Osservava la diapositiva immobile e le labbra si sciolsero in sorriso sereno.

Il cuore le batteva all’impazzata.
Il respiro era ancora affannoso. .


Sicuramente per la corsa.

Il tempo sembrava aver immortalato quello scenario.
Lo aveva conservato perfettamente.
Tutto sembra essere rimasto come allora.
Come quella fotografia.

Cercava di ricostruire quella scena, disegnandone mentalmente le minuzie di quello che si era imposta di accettare come ricordo.

Lei era lì, accanto a quell’arbusto e guardava esattamente...

Ripercorreva con la punta delle dita la traiettoria del suo sguardo, quando lento crepitio dissolse la magia di quel momento, facendola sussultare.
Non era in grado di capire da dove provenisse, ma sembrava che giungesse dalle sue spalle.
Si voltò lentamente, mantenendo il dito a mezz’aria.

“C’e qualcuno?”
La domanda, però, ebbe come risposta solo il suo eco.

Rimase ferma per qualche istante, scrutando l’ombra della foresta.
In un primo momento aveva pensato che si trattasse dello sfrigolio delle foglie calpestate, ma oltre gli alberi sembrava non esserci nessuno.

Forse si era sbagliata e la cosa era alquanto probabile.
A causa dell’euforia per aver ritrovato quel posto, la testa aveva iniziato a girare senza sosta, rendendo tutto più vago e precario.

Quando tornò a focalizzare la sua attenzione verso lo spiazzo, il suo sguardo ambrato si perse in un paio di iridi adamantine, dilatate dallo stupore.

Avvolto in un elegante cappotto nero, un ragazzo la osservava insistentemente dal lato opposto della radura.

Le braccia ricadevano inermi lungo il corpo snello e le mani chiuse a pugno tremavano di ansia sommessa.

Sul volto esangue e le fattezze marcate, risaltavano i crini dorati.

Incredibilmente lisci e sottili.

Intanto, una lieve brezza si era alzata, portando con sé il profumo della pioggia e dell’erba bagnata, ma, tra essi, Hermione riusciva a distinguere dell’altro.

Un aroma frizzante e pungente.
Fresco come la menta.


Inspirò profondamente ed allungò inconsapevolmente il braccio, cercando di afferrare quella piacevole sensazione in cui si era immersa.
Ciò che ghermì, però, fu solo il Nulla.
Il calare del vento aveva portato via con sé quella fragranza.

“Granger?” - chiese esitante lo sconosciuto.

Quel sussurro spezzato aveva fatto capolinea tra la miriade di dubbi, pensieri e domande che nuovamente stavano affollando la emnte della ragazza..
Si intrufolava in quell’antro buio, strisciando tra le parole ed immagini sconnesse che la confondevano.

Chi era quel ragazzo che la conosceva?
Che ci faceva lì ad Hogwarts?

Perché le lacrime iniziavano a pretendere di scorrere lungo le sue guance?

Perchè provava l’irrefrenabile voglia di scappare?
Fuggire non da quel luogo, ma tra le sue braccia e desiderare di sprofondare in esse?



“Hermione!” - ripeté davanti all’espressione smarrita della ragazza.

Questa volta non si trattava di una domanda, ma di una certezza.

Certezza di averla finalmente ritrovata.

Dopo essere stato rilasciato da Azkaban, il primo ed unico pensiero di Draco Malfoy era stato quello di ritrovare la Granger.
Non gli interessava se la questione richiedesse costi spropositati, notti insonni o la necessità di altri generi di risorse. Per fortuna, nonostante la disgrazia che aveva colpito la sua illustre famiglia, il Principe Serpeverde poteva godere ancora di uno smodato benessere.
In tutti i sensi.

Le prime ricerche, però, si erano rivelate dei veri e propri fallimenti.

Dopo l’ultima battaglia, in cui lo Sfregiato aveva sconfitto Tom Riddle, sembrava che la Mezzosangue fosse sparita.

Dileguata, come la speranza di ritrovarla.

Grazie alle numerose conoscenze che poteva ancora vantare, era venuto al corrente che nemmeno i reduci dell’Ordine ne avevano più notizie.
D’altro canto, nemmeno loro si erano dati tanto da fare per cercarla.

Se non si avevano notizie della Granger, tanto meglio: nessuno avrebbe dovuto fornirle spiegazioni su quello che era accaduto.

Sicuramente, dopo tutto che era successo, avrebbe avuto tutte le ragioni per voler restare da sola.

La situazione faceva comodo a tutti.
Tranne che a lui.

Non sapeva perché si era recato ad Hogwarts quel giorno.
Si era svegliato quella mattina, sentendo il dovere di andare lì.

Nessuno era a conoscenza delle sue intenzioni, quindi nessuno poteva sapere della sua presenza al castello, tuttavia, quando aveva sentito qualcuno aggirarsi nei dintorni, non si era allarmato.

Si era semplicemente limitato a seguire quell’istinto, come se sapesse che quella fosse certamente la cosa migliore da fare.
Non quella giusta, certo, ma aveva imparato che, spesso, le due cose non coincidevano.

Nel momento in cui l’aveva scorta nella radura, per un momento - un istante - aveva pensato di trovarsi ancora nell’antico Maniero di famiglia.

Non era ad Hogwarts.
Quella non era la realtà.
Ma trattava di un Sogno...o di un Incubo.

Uno di quelli che avevano accompagnato la sua agonia ad Azkaban, dove la distinzione tra l’uno e l’altro - sogno ed incubo - perdeva la sua importanza, divenendo insignificante.

L’importante era, in un modo o nell’altra, riabbracciarla.
Illudersi di poterlo ancora fare.
Lasciarsi vincere da quell’apparente calore.
Affogando in quella fantasticheria l’ultimo ricordo che aveva della sua Mezzosangue.

Le sue deboli braccia che cercavano di strapparlo dalla presa degli Aurors che lo portavano via.
La voce ridotta ad acuti ed increduli sussurri.
Gli occhi vacui e delusi.

Disperati.

Aveva visto la disperazione attanagliarla nel momento in cui il suo sguardo era caduto sul corpo di Potter a terra con la sua bacchetta accanto.

Disperazione perché il suo migliore amico era morto.
Disperazione perché pensava che fosse stato lui.

La verità?
Aveva poca importanza, ormai.
Il mondo pensava che fosse un assassino, colui che aveva ucciso il Bambino-che-era-Sopravvissuto a Voldemort?
La gente è libera di pensare ciò che più gli fa comodo, a lui non poteva importare di meno.
Ma Hermione non era la gente.
Era Lei.
Aveva il diritto di sapere come le cose erano realmente andate.

Era per quello che la stava cercando.
Non per offrirle una nuova vita insieme - le aveva solo donato menzogne e preoccupazioni in passato - ma per concederle la serenità che le spettava.

Avanzò di qualche passo, avvicinandosi alla ragazza, che ricambiava il suo sguardo.

C’era troppo stupore che brillava nei suoi occhi, ma questo Draco non poteva scorgerlo.

“Per Merlino Granger!”

Ogni parola scandiva un suo passo.

“Si pu...”
“Chi sei?” - lo interruppe.

Con la gola improvvisamente secca, l’ex Slytherin non riuscì a terminare ciò che aveva intenzione di chiederle.
D’un tratto si era irrigidito, schiacciato dalla pesantezza di quella domanda che aveva ostacolato la sua avanzata.

Un ostacolo che sembrava crescere sempre di più sotto i suoi occhi, divenendo insormontabile.

Con una calma che non gli si addiceva, si schiarì la voce.
Si inumidì le labbra.

“Cosa?”

Pensava a tante cose in quel momento, ma la prima cosa che aveva detto gli era sembrata banale l’istante dopo averla pronunciata.
Boccheggiò più e più volte, alla ricerca di qualcosa di più sensato da dire.

Mai e poi mai Draco Malfoy avrebbe pensato di trovarsi in difficoltà un giorno.
A causa di una Mezzosangue, per di più.
Se solo qualcuno glielo avesse detto, tempi addietro, lo avrebbe schiantato seduta stante per l’assurdità della cosa.
Proprio le cose più assurde, però, erano diventate vere grazie a quella Mezzosangue.

Vero, ad esempio, era l’amore che provava nei suoi confronti.
Un sentimento tanto reale da sembrare ingannevole.

Cercò di scrollarsi di dosso il peso del timore, avanzando di un altro passo.

“Hermione, sono io! Draco.” - chiarì, cercando di mantenere fermezza nella sua voce.

Una freddo brivido attraversò la schiena di Hermione.
Sinistro e violento come il suono di quel nome.



Al sono di quel nome, la riccia spalancò ulteriormente gli occhi.

Le parole di Tonks tornarono a rimbombare nel vuoto della sua testa.

“Nessuno sa con precisione quello che successo. Accanto a voi c’era Draco Malfoy, un Mangiamorte.”



Quel Draco?

Iniziò ad arretrare di qualche passo…
Almeno uno, per quanto le risultasse quasi impossibile.

Con un incantesimo Reversus hanno scoperto che la sua bacchetta a scagliato un Anatema che uccide, probabilmente quello che ha ucciso Harry.



Lo stesso Malfoy causa della morte di Harry Potter?

...Il piede stava per toccare terra...
Ancora un istante e poteva ritenersi al sicuro.

“Hermione, aspetta!” - si affrettò a dire il biondo, allungando un braccio per cercare di fermarla.

...solo uno e avrebbe saggiato il calore della salvezza…

Il tono usato dal ragazzo, però, ebbe il potere di far crollare quell’ultima labile difesa.

Un’ancora di salvezza devastata dal fruscio di un sussurro.
Debole come il sibilo del vento tra le foglie degli alberi.

Lo hanno interrogato... e sotto Veritaserum ha dichiarato di non essere stato lui, così è stato scagionato.



Perché mettersi in salvo da qualcosa - qualcuno - che non conosceva?

...Hermione decise do non fare quel passo indietro.

Nel silenzio che era caduto, Draco tirò un respiro do sollievo, approfittando immediatamente della situazione.
Deciso a recuperare il tempo perso, eliminò la distanza che li separava con un’unica falcata.
La strinse al suo petto, affondando le mani nei suoi ricci.

“Quanto ti ho cercata.”

La ragazza, però, non udì mai quelle parole.
Trasportata da quell’abbraccio, Hermione si sentì morire.

Le gambe avevano iniziato a tremare, minacciando di cedere da un momento all’altro.
Le palpebre erano inverosimilmente pesanti, come il suo respiro.
Sentiva l’aria venire meno.
Bruciare attraverso i polmoni.

L’ultima cosa che avvertì, prima di perdere i sensi, fu l’acre aroma di menta corrodere troppo velocemente quel mondo che non avrebbe mai più voluto abbandonare.

Quello stesso mondo che sarebbe andato avanti senza di lei.
Che avrebbe continuato a girare, mentre per lei il tempo smetteva di scorrere.

Nessun sibilo, né un rumore la infastidiva, disturbando quella tediosa quiete.
Il Nulla l’aveva accolta nel suo muto candore.

Non le restava altro da fare che abbandonarsi a quella sensazione.

A breve, il gelo l’avrebbe accolta tra le sue infide braccia, fino a penetrarle dentro.
Lo avrebbe sentito scorrere di nuovo dentro di sé.
Tanto forte da intorpidirla totalmente.

Avrebbe sconvolto la sua vita.
La sua mente.
I suoi Ricordi.

Avrebbe dimenticato il tocco gentile di sua madre.
La profonda voce di suo padre tremare di gioia nel pronunciare il suo nome.
Non li avrebbe più potuti ringraziare per aver cercato di proteggerla.

Non avrebbe più riso della goffaggine di Tonks o dell’espressione buffa del piccolo Harry nell’immergere il suo nasino nella tazza di cioccolata.

I pochi ricordi dei suoi amici già iniziavano ad essere solo delle immagini sfocate.
Prive di significato.

Non avrebbe mai più sentito quel calore tanto intenso da sembrare assurdo, stretta tra le braccia di quel ragazzo biondo che stava velocemente diventando uno sconosciuto.

No.
Non voleva tutto ciò.
Hermione non voleva dimenticare.
Voleva andare avanti.

Era ancora persa nell’orrenda sensazione dei suoi pensieri quando avvertì il tremore delle ciglia lungo le guance tiepide.

Quasi come se i suoi occhi pretendessero di aprirsi a tutti i costi.

Sbatté più volte le palpebre, cercando di mettere a fuoco il luogo in cui si trovava.

Era stesa su di un comodo letto, tra morbide lenzuola azzurre, con ricami di ardesia.
Le stesse con le quali sua madre aveva risistemato il letto il giorno prima che tutta quella storia avesse inizio.
Quelle che avevano cullato le sue notti insonni.

Erano quelle, ne era certa, tuttavia c’era qualcosa di diverso.

Tutto era diverso.

Il sole filtrava attraverso la finestra alla sua destra.
Illuminava la stanza con la sua luce.
Non era accecante ed intensa, ma fievole e piacevole.

Fece forza su braccia e gambe per alzarsi.

Non era stato per nulla faticoso.

“Non dovresti alzarti.”

Draco era apparso sull’arco della porta come dal nulla.

Indossava un paio i pantaloni neri, da taglio classico, su cui aveva abbinato un maglione a collo alto.
Era grigio.
Più scuro rispetto ai suoi occhi cinerei.

Con una calma misurata, il ragazzo si avvicinò al letto, sedendosi sul bordo esterno.
Un po’ distante dalla ragazza.
Sempre in silenzio, con estrema cura, soffiava contro la nuvoletta di fumo fuoriuscente dalla tazza che stringeva nelle mani.
Il suo intenso profumo la colpì con tutta la sua dolcezza.

La dolcezza di quel gesto.

“Bevi, ti farà bene.” - le consigliò porgendogliela.

Hermione aveva seguito ogni suo movimento.
La sua disinvoltura nel muoversi in quella casa era a dir poco inconcepibile.
Sembrava che vi si trovasse lì da molto più tempo di lei.
Ogni sua azione, poi, qualunque spostamento non le sembrava insolito.

Tutto era così familiare.

Portò la tazza alle labbra e con la punta della lingua ne saggiò il contenuto.
Era tiepido e forte.
Frizzantino.
Quel profumo che sembrava essere diventato suo.
O come se lo fosse sempre stato.

Qualcosa che faceva parte di lei e che - finalmente - tornava a suo posto.

Thè alla menta.
Ancora.


Connubio perfetto tra due gusti diversi.
Opposti che sembrano cercarsi l’un l’altro, mescolandosi alla perfezione, fino a quasi non poter più distinguere dove termina il penetrante aroma della menta ed inizia il gradevole gusto dell’infuso.

L’acre e il dolce.
Bene e male.
Giusto e sbagliato.

Un’unica e perfetta essenza.

“Dove lo hai trovato?” - chiese sorpresa.

Strano, nemmeno sapeva di averlo in casa.
Forse non ci aveva mai fatto caso da quando era tornata, scambiandolo per semplice thè.
Probabilmente era stato riposto su un altro ripiano...


Draco aggrottò le sopracciglia.
“Dove lo abbiamo sempre riposto.” - rispose con sufficienza e facendo spallucce.

La Granger si impensierì all’istante.

...o quasi certamente il suo inconscio si rifiutava volontariamente di farci caso.

Il ragazzo cercava di mantenere la calma, mettendo a tacere il senso di impotenza che l’aveva pervaso quando Hermione gli si era accasciata tra le braccia.

L’aveva subito riportata a casa, raggirando gli incantesimi di protezione che loro - insieme - avevano attivato.

Inizialmente aveva pensato che si trattasse di un semplice e banale malore, dovuto ad eccessivo stress.

Aveva pur sempre perso i suoi migliori amici.

Durante l’attesa si era concentrato sul loro incontro.
Ripensato alle parole della ragazza.
Al fatto che non lo riconoscesse.
Il timore che pian piano aveva iniziato ad invaderlo, però, lo aveva privato di un’adeguata lucidità per poter arrivare ad una conclusione.

Più le lancette dell’orologio poggiato sul mobile accanto al letto giravano, più Hermione non mostrava segno di voler riaprire gli occhi.

Avvertiva il fiato del Panico gravargli sul collo.
Lo accompagnava, mentre misurava la camera da letto con falcate ansiose.
Non sapeva a chi rivolgersi, né a chi chiedere aiuto e l’idea di Aberforth portarla al San Mungo era la cosa migliore da fare.

Aveva deciso di attendere l’ultima mezz’ora, quando si era alzato per la prima volta dalla poltrona di fronte al letto, per concedersi una tazza di thè per cercare di distendersi.

Solo trenta minuti.
Magari si era allarmato per nulla.
Potevano accadere tante cose.
Hermione poteva svegliarsi

Trenta minuti, però, a volte possono essere troppi.
A volte possono bastare pochi attimi.
Un battito di ciglia e al suo ritorno Hermione aveva incominciato a muoversi.
Le sua palpebre a tremare leggermente.
Le sue dita a tendersi per liberarsi dal fastidioso torpore.

Draco era rimasto fermo sull’entrata.
Spaventato e sollevato al tempo stesso.
Con il fiato sospeso per l’attesa.
Il cuore a mille per il timore di aver preso un abbaglio.

Poi la ragazza aveva aperto gli occhi e cercato di alzarsi.
A quel punto la sua agitazione sarebbe dovuta calmarsi.
Il suo cuore doveva ricominciare a battere regolarmente.
Invece, si era fermato.
Per un secondo aveva smesso totalmente di battere, per poi scoppiargli nel petto, insieme la gioia immensa che provava in quel momento.

Hermione buttò giù ciò che restava della bevanda ambrata.
Socchiuse gli occhi, sorseggiando lentamente aspettando con trepidazione che la sensazione della rivelazione la colpisse nuovamente come nella caffetteria.

Questa volta voleva concentrarsi con tutte le sue forze, cercando di afferrare quel ricordo che le sfuggiva.

Ma non accadde nulla.

Quando riaprì gli occhi, incontrò solo il volto di Draco voltato verso la finestra, illuminato dalla luce aranciata del sole.

Non rimase delusa, anzi.
In quel momento avrebbe voluto che fermare il tempo.
Congelarlo in qualche modo.
Uno qualunque.
Bloccare quell’istante, per poterlo vivere ancora e ancora.

Abbassò il volto, poggiando la tazza sul mobile accanto al letto.

Che stupida!
Nemmeno la magia avrebbe potuto fare tanto.

Provò nuovamente ad alzarsi.
Prontamente, l’ex Slytherin le posò una mano sulla spalla, facendola ristendere.

C’era apprensione nel suo gesto, ma anche gentilezza.

“Per la barba di Salazar, Granger!” - sbottò contrariato -“Sei sempre la solita testarda.”

Portò l’indice all’altezza del naso della riccia, i cui occhi saettavano dallo sguardo preoccupato di Malfoy alla punta del suo dito che le sfiorava appena le labbra.

Senza trovare una ragione, si trovò a trattenere l’aria.

“Ti ho detto che no devi muoverti.”

Si era agitato così tanto, che delle ciocche gli erano ricadute sulla fronte.

La ragazza annuì con la testa, coprendo con una mano un piccolo risolino divertito, poi si bloccò.

Era tutto così vero e naturale.

Tutto ad un tratto - in un baleno - si trovò ad immaginare un meraviglioso sorriso dipinto su quelle labbra.
Una fragorosa risata illuminare quel volto innaturalmente scarno.
Di lì a pochi istanti lui l’avrebbe cinta a sé e lei avrebbe affondato il viso nell’incavo del suo collo.

Ne era sicura.

Era sempre così che accedeva.
Discutevano.
Lui faceva finta di arrabbiarsi, poi finivano con fare la pace, abbracciandosi.

Lo sapeva.
Ma cosa sapeva esattamente?
Di cosa era così certa?

Si trattava solo di una semplice fantasia.

“Dove lo abbiamo sempre riposto.”
Loro.
Insieme.


Hermione si rabbuiò all’istante.

Forse tutto quello, le sensazioni che stava vivendo, non erano frutto della sua mente.
Della volontà di voler ricordare per forza qualcosa.


“Come facevi a sapere dove avevamo riposto il thé?” - chiese a bruciapelo.
“E tu come mai non lo sapevi?” - sputò di rimando il biodo, inarcando le sopracciglia e assottigliando le labbra nel solito ghigno.

“Malfoy, non si risponde ad una domanda con un'altra domanda, non lo sai?” - ribatté l’altra.

“Granger!” - esalò nervosamente -“Un Malfoy non bada a queste formalità. Lo sapresti, se solo...”

Non voleva dirlo.
Non voleva nemmeno pensarlo.

“...ricordassi!” - terminò, invece, Hermione in un sussurrò.

Il tardo pomeriggio si stava aprendo nelle prime luci della sera.
La luce iniziava a scarseggiare.

“Non ricordo nulla, Draco.” - ripeté stringendo le coperte tra le dita per reprimere la voglia di urlare.

Il risolino sarcastico stava lentamente svanendo dal volto del biondo.
Si stava spegnendo.

Un sogghigno Fiero e sprezzante.
Falso e menzognero.

Cosa nascondeva dietro quella maschera di arroganza?

Paura.
Per il ragazzino che non era mai stato.
Costretto a pagare una colpa che non aveva mai commesso, cercando di uccidere il preside della sua scuola.

Timore.
Per il ragazzo che aveva deciso di essere.
Deciso a vivere sull’orlo del baratro ed aspettare di compiere un passo falso da un momento all’altro, pur di effettuare una scelta.
Quella giusta.
La sua.

Quella di restarle accanto.

Terrore.
Per l’uomo che era diventato.
Incapace solo di pensare alla realtà.
Per quello che stava vivendo.
Perché tutto quello non poteva essere vero.

Nella mente di Draco - nei suoi pensieri - aveva iniziato a risuonare solo il vuoto.

L’ipotesi che la Mezzosangue avesse perso al memoria, in qualche modo, gli era balenata in testa, ma l’aveva immediatamente scartata, scacciando quell’idea fin troppo concreta.

Erano passati tanti mesi da quando si erano visti l’ultima volta.
Era assolutamente normale che non lo riconoscesse, del resto, Azkaban lo aveva cambiato e anche la Granger era cambiata.

Forse anche lui avrebbe stentato nel riconoscerla.

Vane speranze e ragionamenti contorti ai quali aveva cercato di aggrapparsi, chiudendo prepotentemente gli occhi per non credere.

Approfittando di quel silenzio, Hermione aveva iniziato a raccontare la storia del suo risveglio.

Ogni parola, ogni dettaglio le lasciava in bocca l’amaro retrogusto della menzogna e della finzione.

Draco, dal canto suo, si limitava ad ascoltare quel fiume di parole.
Era in grado di coglierne ogni sfumatura.

Sofferenza.
Delusione.

C’era anche riconoscenza in quelle lacrime invisibili che lui aveva imparato a riconoscere.

Di cui spesso ne era la causa primaria.

Durante sere in cui, rincasando a notte fonda, la trovava seduta nel mezzo del letto cercando di trattenere le lacrime e di non sprofondare nel dubbio, era solito avvolgerla nella calda sicurezza dei suoi sentimenti.
Avvinghiarsi al suo corpo, mentre lei rispondeva all’abbraccio con movimenti insicuri ed impacciati.

Incerti.
Ambigui.
Sospetti
.

Come avrebbe reagito la ragazza, se lo avesse fatto ora?
Come avrebbe reagito, se l’avesse stretta tra le sue braccia?
Forse doveva chiedersi, piuttosto, come avrebbe reagito la sua Hermione?

Dannazione!
Non lo sapeva.

Era assurdo.
Non poteva aver dimenticato il tutto che avevano costruito.
Quel loro che era nato.

“Poi” - la mezzosangue, intanto, continuava il suo racconto -“pochi giorni fa, ho trovato una foto e da quella sono arrivata a Grimmauld Place.”

Qualcosa colpì Draco, convincendolo ad aguzzare l’udito più di quanto non stesse già facendo.

“Quale foto, Hermione?”

La ragazza lo scrutò incuriosita, colpita da quell’improvviso tono allarmato.

“Una foto scattata ad Hogwarts, è nel cappotto. Puoi..”

Cosa diavolo stava facendo?
Stava per dirgli di prenderla.
“Puoi portarmelo qui?” - aggiunse, invece.

Insieme alla diapositiva, nella tasca del soprabito c’era ancora la lettera.
Sebbene tutto fosse ormai finito, non voleva che qualcuno ne venisse a conoscenza, tanto meno Malfoy.
Non era per una questione di sicurezza, come si era trattato per Tonks.
Non si sentiva in colpa, davanti a lui.
Era il peso dell’imbarazzo a bloccarla questa volta.
Non voleva che Draco Malfoy scoprisse quella parte di lei troppo intima che per sé stessa.

Non voleva assolutamente che il ragazzo riuscisse a percepire i sentimenti che animavano quella lettera.

Afferrato il giaccone che le aveva porto, lo poggiò al suo fianco per estrarre la diapositiva ed allungarla al ragazzo.

Il volto del biondo rimase impassibile.
I lineamenti contratti in una maschera di profonda e seria indifferenza.
I suoi occhi, invece, sembravano sorridere, brillando di una luce a metà tra la mestizia e gioia.
Li rabbuiava e ravvivava al tempo stesso, rendendoli ancor più intensi.
Come un pozzo senza fondo in cui Hermione stava precipitando.

Non aveva paura.

Non era come cadere, ma aveva l’impressione di volare, sospinta da un leggero soffio di vento.
Un tocco gentile che ti avvolge, fino a farti perdere al cognizione del tutto, smarrendosi in una piacevole immensità.

Draco non battè ciglio.
Non aggiunse una parola.

Quasi gli sembrava di non poter più respirare.

Senza staccare gli occhi dalla giovane Gryffindor immortalata accanto ad uno violento strappo che lacerava lo sfondo verdeggiante con un’irregolare venatura bianca, poggiò quella metà sull’angolo del letto.

Portò una mano alla tasca posteriore dei pantaloni e tirò fuori quello che sembrava un pezzo di carta troppo vecchio e lacero.

Su più punti era increspato e spiegazzato spigolosamente.
Il retro era semplicemente bianco, mentre il fronte era lucido e scuro.
Le grinze ondulate e spigolose si sperdevano tra il fogliame di quella che sembrava una foresta.

No, Hermione.
Quello non è una foresta, né un bosco.
E’ un parco.


“Ma quella...”
Le parole della ragazza persero il loro senso, davanti al doloroso stupore di cui si era gonfiato il petto.

Anche quell’ultimo pezzo aveva trovato il suo posto.
Il quadro era, finalmente, completo.

“Come fai ad avere l’altra metà?” - cercò di rincarare.
Le parole arrancarono per l’ansia.
Ogni lettera quasi bruciava per la fatica che costava nel pronunciarla.

Draco fissava la foto nella sua totalità, quando le sue labbra si corrugarono in un amaro e malinconico sorriso.

Quanto tempo era passata da allora?
Anni?
Secoli?
Quante cose erano cambiate?

Quella era la prima fotografia babbana che lo ritraeva.
L’unica scattata ad Hogwarts.
Una delle tante accanto ad Hermione.

“Il nostro settimo anno ad Hogwarts.”
Scandiva ogni parola con greve calma e lentezza, come se dovesse focalizzarle nella sua mente, prima di pronunciarle.
Parlava più a sé stesso che alla ragazza.

“Questa foto fu scattata da quell’ impiastro di Canon. Aveva usato quell’aggeggio babbano modificato dal padre della Donnola...oh”
Ricordatosi, improvvisamente, della presenza della Granger, si voltò verso di lei per osservare la sua reazione davanti ai nomignoli rifilati ai suoi amichetti.
La mezzosangue di un tempo lo avrebbe schiantato seduta stante.
La ragazza davanti ai suoi occhi, invece, assorta ne silenzio, osservando l’altra metà della foto.

La ammirava con sospetto.
La scrutava con stupore.


La sua confusione turbava oltre ogni limite il povero Draco.

Dannazione, Granger!
Cosa diamine ti è successo?
Cosa ti ho fatto?


Socchiuse gli occhi, passando una mano tra i biondi capelli.
Lo faceva sempre quando era nervoso ed ultimamente accadeva spesso.
Non che da ragazzino fosse più calmo, ma allora si sfogava su Potter.
Le scazzottate con lo Sfigato erano sempre un toccasana per il suo umore perennemente sotto terra.
Dopo si sentiva decisamente meglio.
Come quella volta!

“Io e Potty, come al solito, si stavamo prendendo di mano. La causa? Il campo da Quidditch. I nostri orari di allenamento coincidevano il più delle volte.”
Il ragazzo si perse nel lontano piacere della spensieratezza di quei momenti.

Giorni in cui le discussioni con il Trio dei Miracoli movimentavano le sue tediose giornate, solitamente scandite dal monotono suono dei pensieri che lo accompagnavano fin da bambino.

Istanti passati sul suo manico di scopa, volando alto, fino a sentire il profumo del cielo. Avvertire il tocco freddo dell’aria sulla pelle e sentirsi un tutt uno con essa.

Libero.

“Penso che San Potter non si sia mai accorto che occupassi di proposito il campo. Piton, poi, chiudeva volentieri un occhio sulla cosa, trovando sempre ottime scuse da propinare ai Gryffindors.” - celiò con distacco.

Poi, tutto cambiò improvvisamente.
Si accorse che non serviva toccare il cielo con un dito per sentirsi felice, ma bastava fermarsi anche poco più in giù.
Forse era iniziato proprio quel giorno.

“Mi duole ammetterlo, ma qual giorno fu Potter ad attaccar briga per primo. Il tempo di un destro ben piazzato ed arrivaste tu e Lenticchia per separarci.”
Ghignò divertito per poi riprendere.
“Stavo per sfoggiare una delle mie gloriose battute, ma mi precedesti. Scaricasti sullo Sfregiato una serie di epiteti poco eleganti. Dopo la gloriosa lavata di capo, lo mandasti in infermeria con Weasley.”

Di colpo, il tono di voce si era affievolito.
Era di poco più udibile di un sussurro ed aveva perso tutta la sua cadenza euforica, divenendo greve e malinconica.

“Ti voltasti verso di me e, indicando il labbro sanguinante, mi chiedesti come mi sentivo.”

Anche il biondo aveva preso a fissare la foto.
Le immagini si susseguivano nella sua mente, cose se le osservasse scorrere su di una diapositiva magica.
I pugni saldamente serrati intorno al manico di scopa, cercando di aggrapparsi per non cadere nell’improvviso vuoto che si era aperto sotto i suoi piedi. Perché era così che si sentiva qual giorno.
Svuotato di tutto.

Certezze.
Obiettivi.
Idee.


Era stata quella domanda inaspettata a mandarlo in confusione o forse aveva da sempre vissuto così e la Mezzosangue non aveva fatto altro che aprirgli gli occhi?
Questo non lo sapeva e, a dirla tutta, nemmeno gli importava. Né allora, né a distanza di anni.

Hermione non trovava il coraggio di interromperlo, frastornata e allo stesso tempo atterrita dal dolore che traspariva dal tono di voce del ragazzo.
Lo stesso sentimento che appannava gli occhi del ragazzino nella foto.

Lo sguardo, vacuo e smorto, dava l’impressione che chiedesse aiuto.

E lei?
Cosa aveva fatto?

“Cosa è successo dopo?” - chiese freneticamente, ridestandosi dai suoi pensieri.
Era stata la curiosità a costringerla ad aprir bocca, non la ragione. Questa sembrava ancora vagare a vuoto dopo l’ultimo mancamento e sicuramente avrebbe preferito rimanere all’oscuro di tutto.
Avrebbe preferito barcollare nel dubbio e crogiolarsi in quella illusione, perché queste, a volte, sono più vere del mondo che ci circonda.

“La scuola terminò ed entrambi ci perdemmo di vista.” - sghignazzò amaramente.
“D’altronde le nostre strade erano già segnate.
Voi, l’inseparabile Trio di Silente, siete diventati Aurors.
Io, Draco Lucius Mafloy, Mangiamorte.

Sputò quel paragone, tanto scontato per il mondo, con tutto il risentimento che aveva covato con il tempo. Con irrequieta calma, aveva alzato la manica sinistra del dolcevita fin sopra al gomito.

Un segno di morte si specchiò nelle iridi dilatate dell’ex Griffyndor, insieme ad un timoroso scintillio.

“Che..” - espirò lentamente - “che cos’è?”
“E’ il Marchio Nero, Hermione.”

La ragazza allungò l’indice e il medio, delineando le spire di quel serpente che fuoriusciva dalla bocca di un teschio nero che risaltava sulla sua pelle diafana.
Quell’immagine non imbrattava quel candore, non si sovrapponeva al suo braccio, ma lo completava.

Il Marchio Nero era parte di sé stesso e gli spettava di diritto.

Hermione sembrava non mostrarsi minimamente turbata dalla presenza di un Mangiamorte in casa sua e non uno qualunque, ma quello che aveva ucciso il suo migliore amico.
Per quanto cercasse un minimo di paura dentro di sé, non ne trovava traccia.
Avrebbe dovuto essere spaventata, gridare aiuto e cercare di scappare, invece si sentiva fin troppo calma. Forse era questa la cosa che più la preoccupava.
In qualche modo, sapeva che Draco Malfoy non le avrebbe fatto del male.

“E’ vero, sei stato tu ad uccidere Harry?”

I battiti del silenzio accompagnarono quella breve attesa, poi Draco rispose “Tu cosa credi, Hermione?”

Il tono non voleva essere enfatico o ansioso, ma con il tempo aveva dimenticato come celare i suoi sentimenti.

La colpa, o il merito, era proprio della ragazza davanti ai suoi occhi.

Piangere, temere, sognare e amare non era da deboli, ma umano.

Sorrise nel puntare gli occhi in quelli di Hermione. Sentiva la loro intensità sondarlo nel profondo, alla ricerca di certezze e risposte.
Fu la ragazza a cedere per prima, abbassando lo sguardo perché abbagliata dalla luce della consapevolezza del non sapere.

“Quando è iniziata la guerra abbiamo combattuto su fronti diversi.”
Lentamente, si allontanò da letto, dirigendosi verso la finestra.
“Due ragazzini che combattevano per valori diversi. Sai quale era la differenza? Sono stato cresciuto come un opportunista e non potevo fare altrimenti: non credevo in ciò per cui combattevo. Tu, invece, sì e per questo ti ammiravo.”

La riccia rimase di stucco dinanzi a quelle parole.
No per il tono solenne con cui erano state pronunciate, ma per l’aurea veritiera di cui erano avvolte.
Vere e sofferte.
Una dolorosa ammissione, certo, ma sincera.

“Le cose per Riddle, però, iniziarono a complicarsi. Voleva distruggere Potter lentamente, partendo dalla sua emotività. Colpendo le persone che li stavano accanto. La sua mente geniale, però, non aveva tenuto conto di due piccoli dettagli.
Uno: Potty, per quanto sfigato, non era di certo uno stupido.
Due: Dopo lo scherzetto al quinto anno al Ministero, non si sarebbe fatto cogliere impreparato, cadendo nella trappola.”

La ragazza seguiva il suo ragionamento, annuendo ad ogni deduzione.

“Poi” - continuò -“l’idea che tu potessi essere coinvolta, mia dava tremendamente ed inspiegabilmente fastidio.”

Pronunciava quelle parole come se fossero la più scontata delle convinzioni, sebbene allora - nel buio dei suoi pensieri - bruciassero come uno strappo.
Un lungo squarcio che divideva a metà la sua persona e che minava i fondamenti di una vita, rendendo tutto vano ed insignificante.
Inutile, come quella guerra.

“Poco dopo decisi di rivolgermi all’Ordine. In fondo Silente si era sempre mostrato disposto ad aiutarmi. Chiesi a Potter di incontrarci in un luogo sicuro e quello scelse quella vecchia bettola della Testa di Porco.”

Portò due dita al mento, meditando su quel ricordo che considerava ancora assurdo.

“Certo che tenere un incontro segreto in un pub in piena Hogsmeade alla luce del giorno non rientrava nei mie canoni di sicurezza, ma cercai di sorvolare su questo punto.” - arricciò le labbra sarcasticamente. “Aberforth mi condusse verso un tavolo più appartato e lì, ad aspettarmi c’era una vecchiaccia rugosa.

La ragazza si sciolse un una ilare risata davanti alla faccia sdegnata del biondo.

“Non ti conviene ridere, Mezzosangue. Eri tu la vecchia.”

Come scottata, Hermione si bloccò di colpo.
Il sorriso sulle labbra si rabbuiò e guardò il ragazzo in tralice.

“Suvvia Granger! Non fare quella faccia. Lo stile da acida zitella ti donava.” - sghignazzò di gusto.

La mora, però, non rimase interdetta per l’assurdo travestimento, quanto per l’appellativo che il biondo aveva usato.
Quella parola - Mezzosangue - le risultava sempre più familiare.
Così fragorosa e spensierata, come la risata di Draco.

“Purtroppo, lo Sfregiato non riusciva nemmeno a decidere cosa mangiare a colazione se prima non chiedeva il vostro parere. Tuo e di Weasley. Quel giorno, però, il rosso non c’era. Accanto a te c’era solo Potty, nascosto sotto il Mantello dell’Invisibilità. Io parlavo, lui ascoltava e tu ponevi le domande.
Da quel giorno abbiamo iniziato ad incontrarci regolarmente ogni tre giorni e funzionava sempre allo stesso modo. Vi passavo diverse informazioni, per quanto mi era possibile. Vi tenevo al corrente degli spostamenti di Voldemort e dei suoi piani. Vi aiutavo ad organizzare le imboscate agli altri Mangiamorte per interrogarli. All’inizio la faccenda si mostrava più semplice del previsto, ma la situazione non si discostava di molto poi le cose iniziarono a cambiare. A complicarsi.
Il Signore Oscuro aveva capito che c’era qualcuno a remargli contro e che questo qualcuno agiva dall’interno.
Iniziò a passare in rassegna tutti, alla ricerca dello stupido che si era fatto colpire da un Imperius o, peggio, di colui che si era venduto.”

La sua voce tremava, ma non per lo sforzo.
Quanta fatica c’era nel raccontare quella vicenda?
Nessuna.

Temporeggiava, cercando di non lasciarsi sopraffare dalla disperazione che accresceva nel suo animo.
Pause e parole si ricorrevano a vicenda, nascondendosi l’una dietro le sfumature dall’altra.
Sfuggivano dalla paura provata davanti alla figura agonizzante di Theodore Nott o nell’ascoltare le invocazioni di morte di Goyle, la cui mente veniva letteralmente invasa e frantumata dalla prepotente furia del loro Signore.

No, non c’era dolore.
Solo terrore.

Un sentimento che oramai gli apparteneva.
Intrappolato nella plumbea prigione del suo sguardo spavaldo, lo avrebbe accompagnato per sempre.

La notte, quell’apprensione, si divertiva a tenerlo sveglio, scivolando lungo i suoi nervi tesi.
Ululava insieme al vento, durante le tempeste.
Il giorno rimbombava nella sua testa, mentre attendeva il suo turno.
Prima o poi il suo Signore avrebbe convocato anche lui.

Certo, con il tempo, grazie alla cara zia Bellatrix, era diventato un abile Legilimens ed aveva fatto dell’Occlumanzia uno dei capisaldi della sua vita, tuttavia, per quanta determinazione poteva impiegare per sigillare la sua mente, risultava ugualmente troppo debole per opporsi al Lord Oscuro.

L’idea di una fuga lo aveva sfiorato più e più volte, ma equivaleva ad offrirsi su di un piatto d’argento, accompagnato da una pergamena con su scritto COLPEVOLE.

Era bizzarro, ma essere il figlio di Lucius Malfoy, in quel frangente, non gli era di nessun aiuto.
Anzi.
Il suo fallimento nell’Ufficio Misteri aveva compromesso l’intera famiglia.
Grazie a suo padre, quindi, non rientrava nelle grazie di Voldemort, ma doveva ammettere che egli stesso aveva contribuito ad alimentare l’astio nei suoi confronti con il mancato “omicidio” del vecchio preside.

In sostanza, non aveva alternative.
Potter era stato abbastanza furbo da tenergli nascosto il luogo in cui l’Ordine aveva sede.
Nel momento in cui l’Oscuro avrebbe violato la sua mente si sarebbe imbattuto nei suoi galanti incontri con una vecchia megera.
Non serviva la presenza dello Sfergiato per incastrarlo, ma bastava la sua parola, i loro discorsi.

Sarebbe stata la fine per lui e lui soltanto.

Non sapeva quali fossero i membri dell’ordine.
Non sapeva nemmeno che Piton ne facesse realmente parte. Aveva sempre creduto che la sua fosse solo una copertura, un giorno, però, lo aveva sottratto dalle grinfie del suo destino.

“Abbiamo un aggancio per trovare il luogo in cui Potter si nasconde.” - aveva detto, mentre Draco seguiva suo padre, dirigendosi al cospetto del loro Signore.
Lucius nascose l’improvviso attacco di bile che lo aveva colpito dietro un sorriso sghembo e tirato.
Voleva essere lui a scovare il Bambino Sopravvissuto, riacquistando un minimo di prestigio, invece si ritrovava costretto a rinchiudersi nell’antico Maniero, sperando che la spia che stavano cercando non si nascondesse nella mente di suo figlio.
I lineamenti del volto gli si rilassarono appena, quando Severus gli rivelò che il ragazzo gli serviva in laboratorio.
“Devo lavorare ad una pozione e ho bisogno del suo ausilio. Lui ne è già al corrente ed ha acconsentito.”

Entrambi - padre e figlio - tirarono un silenzioso respiro di sollievo.

Draco aveva salva la vita.
Lucius conservava quel poco di prestigio che gli restava.


Ammantati e in silenzio, entrambi abbandonarono la dimora dei Malfoy.
Il ragazzo si era limitato a seguire il suo ex professore, senza far domande.
Una volta abbastanza lontani, Piton lo aveva smaterializzato di peso.

Si strinse al braccio dell’uomo al suo fianco, sentendo improvvisamente la terra franare sotto i suoi piedi.
L’aria iniziò a vorticare intorno ai loro copri.
Chiuse gli occhi per qualche istante e, quando li riaprì, si ritrovò in un quartiere della Londra babbana.
Si sentiva a disagio in mezzo a quella gente così comune.
Non era per gli sguardi incuriositi che lanciavano loro mentre percorrevano un breve tratto di strada a piedi.
Nonostante le continue sparizioni di cui sentivano parlare, anche se non ne conoscevano la causa, tutti loro sembravano felici, cose che per lui risultava quasi sconosciuta.

Forse, pensandoci bene, era per questo che li odiava così tanto e non per il loro sangue.

Completamente immerso nelle sue considerazioni, non aveva fatto caso il loro tragitto era finito e ce si erano fermati davanti all’ingresso di un enorme edificio bianco ad angolo.
Piccole ed eleganti arcate si affacciavano sulla strada principale.
Non era molto alto e sulla sua sommità la struttura terminava con un’ampia vetrata.

Severus gli dava le spalle, osservando nervosamente il portone in vetro e ferro battuto.
Sulla facciata si rifletteva la luce gialla del semaforo dall’altra parte della strada, quando il battente più ampio dell’ingresso si spalancò.

Senza ombra di dubbio sapeva che quella non era la sede dell’Ordine.
Potter e la sua combriccola non erano tanto sprovveduti da scegliere un posto tanto vistoso come quartier generale, mai si sarebbe aspettato di trovare lei.

La Granger.


Era riduttivo dire che rimase stupito nel vederla.

Da quando aveva iniziato a passare loro informazioni, l’aveva sempre vista sotto le spoglie di una bisbetica quasi sdentata e i suoi ricordi di Hogwarts non lo aiutavano per nulla e non coincidevano con la donna che si trovava davanti.

Che fine aveva fatto la So-tutto-io dentona?
Che ne era stato dei suoi ricci crespi e ribelli?
Quella meravigliosa creatura non poteva essere Hermione Granger.

Si era sentito piacevolmente frastornato davanti a quelle iridi dorate.
Tanto intontito da non capire come si fosse ritrovato spinto dall’altra parte del portone.

La Mezzosangue lo aveva condotto fino all’ultimo piano, fornendogli le spiegazioni su cui Piton aveva sorvolato.

“Credevi sul serio che ti avremmo lasciato lì alla mercè di Voldemort?” - pronunciava quel nome, temibile per molti, con tono fiero, ma altrettanto rispettoso.
“Hai una pessima concezione dell’Ordine, allora.” - ridacchiò, mentre con uno scatto apriva l’unica porta presente sul pianerottolo.

Gli aveva spiegato che quella era casa sua, ma preferiva stanziarsi a Grimmauld Place con i suoi amichetti. Per questo motivo non aveva avuto problemi a metterla a sua disposizione.

Gli aveva offerto un rifugio.

Aveva iniziato a recarsi lì quasi tutte le notti.

Solo...

A volte dormiva, ma la maggior parte del tempo la trascorreva a pensare.

...con i suoi pensieri.

Poteva farlo liberamente, senza dover stare continuamente in allerta, vigile per sfuggire a sguardi indiscreti.
Spesso si perdeva nei suoi vaneggiamenti fino ad addormentarsi senza rendersene conto.

Il mattino seguente si svegliava con i raggi del sole che si sperdevano tra i suoi capelli biondi sparsi sul bracciolo del divano.
Il calore del mattino riscaldava le sue guance fresche, ripercorrendo i lineamenti rilassati del suo viso. Gli baciava le palpebre, invitandolo a svegliarsi.

Quando si avvicinava alla vetrata del salone, il mondo si tingeva di nuovo, brillando di mille e mille colori.

Il fatto che si fosse trasferito lì non aveva cambiato o semplificato le cose tra lui e l’Ordine.
Continuava a passare informazioni sui piani dei Mangiamorte sempre allo stesso modo.
Nello stesso luogo.
E la Mezzosangue si presentava sempre con lo stesso travestimento.
Da quando si era recato al suo appartamento, non si erano più incontrati, ma il ricordo di quel giorni lo teneva compagnia.
Lo scintillio dei suoi occhi illuminava i suoi sogni.
Il profumo dei suoi capelli lo accompagnava mentre terminava di essere solo Draco e tornava ad essere un Mangiamorte.

Appena metteva di nuovo piede tra le fila dei servitori dell’Oscuro, il suo buon umore si atterriva.
Il mantello nero, la maschera che era costretto ad indossare.
Tutto stava diventando troppo stretto.

Durante le battaglie cercava di darsela a gambe appena poteva.
Qualche Stupeficium deviato, Cuciatus mal piazzati e, arrivato al primo angolo, si smaterializzava nei pressi dell’imponente edificio bianco.

La Granger aveva già pensato ad installare diversi incantesimi di protezione e sicuramente aveva aggiunto trucchetto per tenerlo sotto controllo.
La fiducia non è mai troppa.
Tuttavia, si trattava di tutte cose che poteva facilmente raggirare per accedere direttamente nell’appartamento, ma preferiva non mettere a repentaglio quel piccolo Paradiso e raggiungerlo facendosi quattro passi a piedi.

Durante gli scontri, era solito tener sott’occhio Hermione
La osservava contrattaccare, respingere gli incantesimi ed atterrare i Mangiamorte.
Una sera - una come tante - la ragazza aveva appena respinto con un Protego un incantesimo di Dolohov, poco distante dal suo nascondiglio, quando un Auror lo aveva intravisto e scagliato contro uno Schiantesimo.
Il colpo era partito prima ancora che potesse accorgersene, troppo occupato ad esultare per le capacità dell’ex Gryffindor.
Troppo tardi per innalzare una barriera, aveva chiuso gli occhi in attesa dello schianto, ma qualcosa di duro, invece, andò a scontrarsi contro il suo torace.

Ruzzolò a terra, pochi metri più distante dal luogo in cui si era precedentemente nascosto.
Dietro un muretto appartato.

Il peso che avvertiva sul suo petto si rivelò essere Hermione.
Inerme e tra le sue braccia.

Quella stupida doveva essere passata mentre l’incantesimo si avvicinava e ne era stata travolta in pieno.
Forse non era così intelligente ed acuta come tutti credevano.

Indeciso su cosa fare, sentì le voci della Piattola e dei gemelli pezzenti avvicinarsi, mentre cercavano la ragazza.
Non potevano trovarli lì.
Nessuno, oltre la Granger e Weasley, sapeva della sua collaborazione con Potter.

Avrebbero pensato che fosse stato lui a farle del male.
Non poteva accadere.

Così, decise di smaterializzarla con sé.

Giunto a casa, dritto in quella che aveva dedotto essere la camera della ragazza, la distese sul letto e rianimata con un Innerva.

Il pallore dell’unico raggio di luna che filtrava dalla finestra le illuminava il volto con la sua luce. Si infrangeva contro le sue ciglia, bagnandole le palpebre, mentre la ragazza cercava di riaprire gli occhi.

Non poteva farle del male.
Da quando Hermione era così bella?
Quando aveva iniziato a chiamarla Hermione?
Da quando gli importava conoscere la risposta a queste domande?


Aveva aspettato che si riprendesse per spiegarle l’accaduto.

Quando la ragazza gli aveva spiegato che non si era trattato di un incidente, ma che si era frapposta volontariamente per intercettare l’incantesimo, le parole gli vennero meno prima ancora di formularle, mentre la bacchetta gli andava di traverso.

“Non lo meritavi quello Schiantesimo, anche se non ti avrebbe fatto male.” - disse facendo spallucce e ridacchiando.

Un sorriso dolce e radioso.
Cristallino e in grado di afferrarti l’anima.

Ancora una volta aveva preso le sue parti, come quel giorno ad Hogwarts.

Al suono di quel ricordo il sangue sembrò gelarsi nelle vene e il cuore perdere un battito.
Qualcosa si mosse in lui facendogli tremendamente male.
Doveva essere più pallido come un cencio, poiché la Granger gli si era avvicinato chiedendogli come si sentisse.

Di nuovo.

Le mani della ragazza, piccole ed aggraziate, corsero alla sua fronte.
Il loro calore a contatto con il freddo del sudore che imperlava la sua fronte lo fece rabbrividire.

Tremava per la sola ebbrezza di averla così vicino.
Si guardò attentamente intorno, tirando un lungo sospiro.
Respirava profondamente l’aria di complicità che iniziava ad avvolgerli.
Il suo cuore batteva all’impazzata, facendolo sentire vivo.

Aveva lo sguardo fisso negli occhi della strega.
La sue iridi mielate si erano fatte pericolosamente grandi e vicine.
Provava un irrefrenabile desiderio di affondare le dita in quella cascata di ricci.

“Sto bene.” - rispose piano.

Si sentiva incomprensibilmente bene.

La bruna dapprima rimase interdetta, poi sbuffò accigliata.
Stava per ribattere, ma non potè formulare nessun pensiero, nessuna risposta tanto sagace da zittirlo, che Draco poggiò le labbra sulle sue, reprimendo con un bacio l’involontario ed inconsapevole sorriso che le stava nascendo.

Ebbe la prontezza di afferrarla per i polsi, in modo da non farsi respingere, ma la reazione della Mezzosangue fu totalmente inaspettata.

Sospirò e mugugnò qualcosa di incomprensibile per poi arrendersi tra le sue braccia.
Come se qualcosa l’avesse convinta che lottare era terribilmente inutile.
Non si irrigidì, nè si oppose.
Stanca ed appagata, si abbandonò alla pienezza delle sensazioni che accompagnavano quel bacio, schiudendo le labbra ed avvicinandosi di più al corpo del ragazzo.
Le sue dita all’altezza del petto si muovevano freneticamente.
Frugavano nel suo animo.
Nel suo cuore.
In ciò che credeva di non possedere.

Meravigliato, il biondo interruppe quel momento che aveva dell’incredibile.
Se la risposta della ragazza al bacio l’aveva sconcertato, la decisione che le leggeva negli occhi ebbe il potere di smarrirlo.

Quanto ancora doveva stupirlo quella Mezzosangue?
Perché, tutto ad un tratto, era diventata così speciale?

Con le labbra scese a sfiorarle la fronte, mentre con il pollice le carezzava la guancia rosea.

Se il mondo aveva iniziato a girare al contrario, avrebbe fatto di tutto per far sì che continuasse a farlo.
Il passo che separa il bene dal male - il giusto da ciò che è sbagliato - è troppo breve e Draco aveva superato quella soglia.
Forse lo aveva fatto inconsapevolmente quando ancora era un ragazzino diciassettenne.
Magari lo aveva oltrepassato proprio durante le notti passate con Hermione.
Incontri scanditi dal suono dei loro ansimi e respiri che disperdevano nel silenzio che li avvolgeva.

Insieme avevano potenziato gli incantesimi di protezione e l’Auror Hermione Granger aveva iniziato a trascorre meno tempo al quartier generale per potersi recare da lui.
Lo faceva sempre di nascosto, dicendo che non le andava di rispondere a domande assurde sui suoi atteggiamenti, visto che nessuno era a conoscenza della sua collaborazione.

C’era solo una persona che sapeva di loro.
Potter.
Draco non aveva mai avuto dubbi a riguardo, ma ne ebbe la certezza quando una mattina, dopo una notte intera passata di pattuglia con li altri Mangiamorte, l’ex Gryffindor si presentò al posto della ragazza.
Per la prima volta entrambi avevano parlato senza che volassero pugni o incantesimi.
Lo Sfregiato aveva mandato al diavolo la sua copertura, con la consapevolezza del rischio che correva nel caso in cui Malfoy fosse stato scoperto, solo per conoscere le sue intenzioni con la Granger.

“i>Malferret, non ho tempo da perdere, quindi cerchiamo di tagliar corto.” - aveva detto quella mattina Potter, poggiandosi all’arco della porta con braccia conserte.

Il biondo sfoggiò un sorriso sghembo.
Non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, ma lo Sfregiato gli mancava.

“Non avrei mai detto che la tua fosse una visita di cortesia, Potty.” - lo canzonò marcatamente di rimando.
Il moro sospirò con calma.
“Allora, cosa vuoi?” - chiese in fine Draco.
“Hermione mi ha parlato di voi.”
Entrambi avevano abbandonato ogni tono sarcastico ed aggressivo.
Malfoy si incamminò verso il salone, dritto verso il divano.
Quella sarebbe stata una conversazione dura da sopportare.
Molto dura.

Harry rimase fermo davanti alla libreria, fisso ad osservare il silenzio del ragazzo.
Non mostrava la benché minima intenzione di voler rispondere.
In fondo, però, si trattava solo di una constatazione gettata lì nel discorso.
Non gli aveva rivolto nessuna domanda.
Non ancora.

“Posso sapere quali sono le tue intenzioni?” - rimediò.

Maledetto Sfregiato.

L’ex Slytherin serrò la mascella, stringendo le mani sul bracciolo del divano.
Aveva cercato di evitare di domandarselo da quando si era risvegliato per la prima volta nella camera da letto di Hermione, con i suoi capelli riversati sul suo torace nudo e il suo braccio che gli cingeva la vita.

Assolutamente non voleva rispondere.

Con timorosa calma, l’Auror si avvicinò nello stesso momento in cui il ragazzo si stava voltando, trovandosi contro una bacchetta puntata alla sua fronte.

“Ma cosa diamine significa?” - deglutì nervosamente.
“Mi spiace Malfoy, ma i patti con Hermione erano chiari: se di fosse presentata l’esigenza io ti avrei obliviato e lei ha accettato, sicura delle sue convinzioni. Siccome tu non collabori, non mi resta altra scelta.” - chiarì con determinazione. “A quanto pare, Hermione si era sbagliata.”

Quelle parole tanto aspre lo accecarono.
Pizzicavano e bruciavano, come gocce di limone che strisciavano su vecchie ferite.

Cosa lo bloccava?
Il domani.
Pensare ed un loro equivaleva a dover pensare al domani.
Aveva smesso di farlo dall’estate del suo quinto anno, quando il futuro era diventato appannato e precario.
In quei giorni non sapeva nemmeno se avesse rivisto sua madre durante le vacanze invernali.
Se la luce del solo lo avesse nuovamente accompagnato mentre si dirigeva alle lezioni.

Non sapeva nemmeno se sperare in un futuro.


“Non lo so.” - dedusse mentalmente.

“Non lo so.” - ripetè ancora.

Harry allentò la presa sulla bacchetta e l’abbassò lentamente.
“Potter non guardarmi così. Mi irriti.” - abbaiò davanti allo sguardo stranito del Bambino Sopravvissuto.
“E tu prova a spiegarti, invece di ripeterti.”

“Io..io non so quali intenzioni abbia. Fino a ieri non sapevo cosa sarebbe stato di me.”
Prese una lunga pausa, per poi riprendere di nuovo, come se avesse riflettuto su quello che gli era accaduto.
“Poi mi sono ritrovato qui. Lei, poi...”

Lei poi...

Erano parole sconnesse ed affannate quelle che pronunciava, ma, in fin dei conti, avevano senso.

...era Lei.

Le sue labbra si piegarono in un sorriso spontaneo.

“E’ così..”
“Così dolce, gentile, sensibile, testarda, irrimediabilmente Gryffindor. Unica e speciale.” - terminò l’Auror.
“Già.” - convenne l’altro.
“Pensaci bene, credi sul serio di meritarla?”

Pensaci Draco.

No! Non aveva fatto assolutamente nulla per meritarla.
Nulla.
Anni interi passati ad insultarla, quando avrebbe potuto...cosa?
Conoscerla meglio?
Anzi, no, imparare a conoscerla?
Speranze.
Sogni.
Desideri.

Sciocchezze.

Pensaci Draco.
La meriti?


“Sì” - disse con convinzione.
Mentì con fermezza.

Da quel momento in avanti, avrebbe fatto l’impossibile per meritarla.

“”Bene, Mafloy.” - sospirò il Prescelto, mentre riponeva accuratamente la bacchetta, felice di non averla usata. “Stai meglio?”
“Credo di sì.” - disse con titubanza.
“Ne sono contento.”
Diede una vigorosa pacca sulla spalla del biondo, guadagnandosi un’occhiataccia torva.
“Dici sul serio?”
I due si guardarono negli occhi per qualche istante, poi torsero le labbra indignati.
“Certo che no, Furetto.”
Si diresse verso l’uscita.

“Il mio compito qui è terminato.”
Poggiò la mano destra sul freddo pomo d’ottone della porta di ingresso e si voltò nuovamente, mutando subito espressione, diventando da divertita a greve e seria.

“Ricorda Malfoy: Hermione si fida di te ed io mi fido di lei. Falle del male - un solo passo falso - e te la farò pagare.” - scandì per poi uscire.

Da quel giorno, Potter non si era più fatto vivo.
Anche le informazioni, oramai, le passava direttamente ad Hermione, evitando la solita mascherata e continuando la loro vita tra vecchi film, libri disseminati sul pavimento.
Ore interminabili trascorse distesi su di una coperta, assaporando una tazza di thè alla menta, in compagnia dei riverberi argentei della luna e dei silenziosi suoi della città assopita.

Quello che sembrava un vero idillio, però, ci mise poco a tramutarsi nell’ incubo che stavano vivendo.

“Ero tenuto all’oscuro delle vostre riunioni, tuttavia, quando avevi dei problemi, non esitavi a parlarmene. Pian piano iniziasti a confidarti, raccontandomi del tuo primo anno ad Hogwarts. Di come avevi legato con i tuoi amichetti. Mi mettesti al corrente degli Horcrux e della missione che vi aveva affidato Silente. Poi, iniziasti a rivelarmi i vostri piani.”
Ad ogni parola, il suo tono di voce cresceva.
Spensierato. Euforico. Inebriato.
Proprio come si sentiva allora.

Hermione continuava ad ascoltarlo.
Di tanto in tanto alzava lo sguardo verso il ragazzo, per riabbassarlo l’istante dopo.
Troppe erano le parole che avrebbe voluto dire, domande da rivolgere.
Tutte lì, a fior di labbra, ma non appena apriva bocca, le parole venivano schiacciate dalla tediosa atmosfera che aleggiava loro intorno.
Gravava su di loro pesante come il piombo.

“Non mi ero mai sentito così, mai provato tali sensazioni. Il solo fatto che ti aprissi con me, che io avessi qualcuno che mi ascoltasse, mi faceva sentire importante...” - ricominciò il biondo, ma senza terminare.

“Speciale.” - sospirò la ragazza, cupa in volto.

Sapeva benissimo cosa si provava quando si ha dentro qualcosa che risuona come un allarme.
Un problema o un pensiero che ci fa sentire unici.
Soli.
Invisibili
, perché non c’è nessuno al mondo in grado comprenderci.

“Un giorno riuscii ad avvertirvi di un loro attacco con largo anticipo, così da permettervi di coglierli di sorpresa, ma qualcosa andò storto.”

L’espressione della riccia si allarmò di punto in bianco.
Il sangue aveva abbandonato le guance per pulsare violentemente nelle tempie.
“Sta tranquilla Mezzosangue!” - la tranquillizzò, percependo la sua preoccupazione -“Voi Aurors aveste la meglio, ma Voldemort non era presente allo scontro, come, invece, era stato previsto. Qualcuno doveva averlo informato della vostra imboscata.” - spiegò con fin troppo assurda calma.

“E chi era stato?” - finalmente chiese la Granger in un sussurro.

Malfoy respirò lentamente.
Qualcosa gli ostruiva la gola, impedendo all’aria di giungere ai polmoni.
Un brutto ed intricato nodo alla gola che sembrava straziarlo.
O forse era la risposta alla domanda di Hermione che lo tormentava così tanto?

“Io fui l’unico a non prendervi parte, né con voi né con i Mangiamorte.” - ammise.

Chiuse le mani a pugno, tenendole a stento ferme, tremando dalla voglia di colpire qualcosa.
Le stringeva vigorosamente, come se volesse reprimere qualcosa.
Schiacciarla o negarla.
Qualcosa come l’evidenza.

“Appena gli altri si smaterialiazzarono, io ritornai qui. Ti aspettai tutta la sera. L’intera notte. Ero sicuro che non ti fosse accaduto nulla - dovevo esserne sicuro - ma tu non tornavi.
Alle prime luci del mattino decisi di venirti a cercare. Non sapevo come, ma ti avrei trovata.
Non appena aprii la porta, però, tu eri lì.

Ad entrambi parve di annegare.
Hermione nella disperazione fin troppo familiare cui erano permeate quelle parole.
Draco nel buio del ricordo della sua figura davanti alla porta.
Le braccia esili che ricadevano lungo il corpo.
Stanche.
Il capo chino e il corpo scosso da brividi convulsi.
Fragile e vulnerabile.
Piangeva sommessamente, cercando di reprimere i singhiozzi, ma le lacrime le rigavano il volto, per poi cadere nel vuoto ed infrangersi sul marmo del pianerottolo.
Ognuna di quelle gocce - di quei lievi lamenti - lo atterrivano, ma fu il suo sguardo a straziarlo definitivamente.
Iridi dorate in grado di donargli la vita per poi stapparla via un istante dopo.
Gemme che lo schiacciavano sotto il peso della loro fosca luce.

Il peso dell’ombra della delusione.

“Mi chiedesti il perché della mia assenza, dove fossi stato e il tuo tono diveniva sempre più accusatorio. Ti spiegai dell’idea di Piton, che per me fosse meglio non farmi vedere. Non riuscii a mettertene al corrente perché lo avevo saputo solo dopo essermi recato da lui.
Tu rimanesti lì, immobile. Poi ti gettasti tra le mia braccia, Ma non mi credevi, Hermione.”

Non gli credeva e lo notava dall’insicurezza dei suoi gesti, dalla sua improvvisa assenza.

“In realtà pensavi che fossi stato io ad avvertirli del vostro arrivo.” - terminò.

Quando lei non c’era, durante la notte, si sentiva ancor più solo di prima.
Continuava a dormire nel loro letto, sperando in un suo improvviso ritorno, ma si addormentava mentre l’aspettava.
Si girava e rigirava nel letto, stendendo un braccio verso la sua destra, ma Hermione non c’era.

“Quando ci incontravamo, anche se ti sforzavi per non farmelo notare, percepivo il tuo disagio. La mia regale presenza non era più desiderata.” - rincarò con amaro sarcasmo -“Così, un giorno decisi di andarmene definitivamente, approfittando di una delle tante sere in cui preferivi tornare a Grimmauld Place. Portai via tutte le mie cose. Trovai questa foto e la strappai portando con me la metà che mi ritraeva. Cercai di fare in fretta. Non per paura che tornassi all’improvviso, ma perché temevo di non riuscire a farlo. Dovevo scappare da qui, da te.”
Prese una lunga pausa, cercando di riordinare le idee.
“Ti stavo abbandonando.

Hermione si sentì investita da un’ondata di aria fredda.
Una gelida folata di vento l’aveva travolta, trapassandola da parte a parte con la sua violenza, impedendole di muoversi, di parlare o di pensare.
Una raffica di vento che le ululava nelle orecchie, portando con sé parole che conosceva e che ora non le sembravano più tanto insensate.


Sono fuggita da Grimmauld Place!

Per l’ultima volta.

Avevo bisogno di ritornare qui dove tutto è terminato.

Quando sono arrivata, lui non c’era.
Era andato via.
Era scappato da me, che un tempo ero stata la sua salvezza.



Ancora una volta, come solo pochi giorni prima, le parole di quella lettera che aveva trovato le scorrevano davanti agli occhi.

Fluide.
Naturali.
Vere.

Sue.
 
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4 replies since 23/1/2008, 18:03   1727 views
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